“Scienza e fede sono davvero inconciliabili?”
Ragione e fede, progresso e fede, scienza e fede sono davvero inconciliabili? Chi crede in Dio, o in un’entità superiore e spirituale, davvero non può usare la ragione o credere nel progresso e nella scienza? Esiste davvero questa dicotomia?
La riflessione che segue, nasce sia dalla mia formazione classica sia da quella grafologica. Quest’ultima, per sua stessa natura, non può prescindere dallo studio delle scoperte operate dalle neuroscienze.
Già il fondatore della grafologia italiana, Padre Girolamo Moretti, nel suo trattato di grafologia pubblicato a metà del ventesimo secolo, per ogni segno grafologico, dopo averlo spiegato, dato i parametri per la misurazione e spiegato le implicazioni in ambito intellettivo e comportamentale, dedicava una sezione alle “ragioni scientifiche del segno”.
Moretti intuiva che il collegamento tra grafia e mente era strettissimo e che la grafologia dovesse essere ancorata alla scienza perché il senso stesso del suo esistere e del suo essere credibile nasce proprio dall’approfondimento dell’interconnessione esistente tra grafia e cervello.
Tra l’altro, la società delle neuroscienze è stata fondata nel 1970, mentre l’intuizione del Moretti è precedente, risale agli anni 40 e 50 del secolo scorso.
Gli studi grafologici e il continuo aggiornamento rispetto alle scoperte operate dalle neuroscienze sul funzionamento della mente e del cervello, mi hanno riportato alla mente concetti già noti, ma sui quali non avevo riflettuto, in quanto, riguardando la fede, erroneamente come del resto la gran parte dei credenti, pensavo dovessero essere accettati, appunto, per fede e non vagliati attraverso la ragione.
Per anni, o forse è meglio dire per secoli, si è pensato che la fede dovesse essere cieca in quanto non poteva essere dimostrata. A conferma di ciò, nel vocabolario della lingua italiana alla voce fede troviamo scritto: il credere come veri determinati assunti o concetti, basandosi sull’altrui autorità o su una personale convinzione. Quindi è sottinteso che gli assunti o i concetti non possono essere dimostrati.
Questa concezione della fede è in netto contrasto con il significato che, sempre nel dizionario della lingua italiana viene dato al sostantivo ragione: la capacità del pensiero di stabilire rapporti e connessioni logiche tra le idee, che è a fondamento del conoscere e dell’agire (spesso in contrapposizione a sentimento, istinto). Da quanto fin qui esposto sembrerebbe che il credente debba essere una persona che non usa la ragione, una specie di idiota il quale non sa perché crede in Dio (tradizione, educazione, consuetudine, bisogno di dare un significato trascendente alla realtà) e che, di conseguenza, non usando la ragione non è nemmeno in grado di spiegare perché crede né di darne evidenza scientifica.
In realtà, e qui mi rivolgo in particolare a colore che credono, se Dio ha creato l’uomo lo ha creato così com’è, compresi la ragione e il sesso, altro argomento dolente dei credenti. Quindi la ragione è stata creata da Dio, è parte integrante dell’uomo e non è un optional che si è formato nell’uomo successivamente alla sua creazione sfuggendo al “controllo” di Dio.
Quindi il credente deve usare la ragione per spiegare il suo credere in Dio, perché Dio parla alla ragione dell’uomo, non al suo cuore.
Nel corso dei miei studi di grafologia mi sono resa conto che ciò che le neuroscienze scoprono riguardo il funzionamento del cervello, confermano quanto scritto in un famoso, discusso e controverso libro: la Bibbia.
Prima di analizzare nello specifico il funzionamento di alcune aree del cervello e di come la spiegazione di tale funzionamento fosse già presente nella Bibbia. Voglio fare una premessa utilizzando un banalissimo esempio.
La mancanza di conoscenza, o l’ignoranza, intesa appunto nella sua corretta accezione di non conoscenza, produce tanti problemi e non giustifica davanti alla legge. La legge, infatti, non ammette ignoranza.
La persona che non ha conoscenza è facilmente manovrabile, è indifesa e fragile, esposta ai raggiri di ogni tipo.
La persona che ignora ha tanti pregiudizi.
La cronaca quotidiana ci rimanda continuamente ad episodi di ignoranza. Nella vita quotidiana vediamo quanti danni produce l’ignoranza intesa come mancanza di conoscenza.
Decliniamo l’ignoranza in tutte le sue sfaccettature: non conoscenza dei propri diritti, dei propri doveri, dei propri limiti, mancanza di cultura che produce grettezza e chiusura mentale.
Ma questo concetto, questa verità era già presente nella Bibbia e nello specifico, nell’Antico Testamento nel libro di Osea al capito 4 al versetto 6 che recita: Il mio popolo perisce per mancanza di conoscenza.
L’ignoranza conduce alla morte? Io credo proprio di sì, non la morte fisica, ma sicuramente l’ignoranza conduce alla morte, intesa come immobilismo mentale, culturale, relazionale e sociale.
Lo psicologo statunitense Julien Rotter nel 1954 sviluppò, oltre alla teoria del social learning anche quella del “locus of control”, ovvero il “luogo del controllo”. Questo termine indica la modalità con cui un individuo ritiene che gli eventi della sua vita siano prodotti da suoi comportamenti o azioni, oppure da cause esterne indipendenti dalla sua volontà.
Sono stati individuati due tipi di locus of control, ed è stato accertato che ognuno di noi è guidato da entrambi. Semplificando significa che quando le cose vanno bene diciamo che è merito nostro, quando le cose vanno male diciamo che la colpa è esterna a noi: degli altri, delle circostanze o degli eventi.
Questa modalità di comportamento la troviamo già descritta nel libro della Genesi quando Adamo, dopo aver mangiato la mela, addossa ad Eva la scelta che a sua volta l’addossa al serpente. Quando le cose vanno male non è mai colpa nostra.
Il luogo del controllo è la mente. Il genere di pensieri che la occupano generano le azioni e il modo di parlare; infatti, la psicologia ci dice che è importante avere pensieri positivi, ma questo era già scritto nella lettera che Paolo scrive ai Romani al capitolo 12 al versetto 2 “Non conformatevi a questo mondo, ma siate trasformati mediante il rinnovamento della vostra mente.” Non lasciarsi dominare dalla mentalità negativa di questo mondo, avere un pensiero critico rispetto, per esempio, alle notizie trasmesse dai mass media, non omologarsi a ciò che il mondo dice essere giusto, ma vagliare tutto, attraverso la nostra mente, attraverso l’uso della ragione.
Le neuroscienze ci dicono che la nostra personalità è formata solo in minima parte da ciò che ereditiamo geneticamente, la maggior parte di essa si forma in base all’ambiente in cui cresciamo, questo è già scritto in Pietro 1:18-19 “sapendo che non con cose corruttibili, con argento o con oro, siete stati riscattati dal vano modo di vivere tramandatovi dai vostri padri, ma con il prezioso sangue di Cristo, come quello di un agnello senza difetto né macchia”. Il vano modo di vivere le abitudini, gli schemi mentali, le tradizioni che ci portiamo dietro, che riproponiamo nelle nostre relazioni e che impediscono di esprimere liberamente noi stessi.
Articolo di Paola Gnasso
Fonti
Immagine articolo: https://wsimag.com/science-and-technology/20927-science-and-religion
Paola Gnasso è docente di Grafologa Forense presso corsi e master universitari. Riveste il ruolo di CTU e CTP.