“Il caso Narducci”
L’8 ottobre 1985 il Dottore Francesco Narducci, uno stimato gastroenterologo, sparisce in circostanze misteriose al Lago Trasimeno.
Dopo 5 giorni di ricerca, il 13 ottobre viene ripescato il cadavere di un annegato nei pressi del molo di Sant’Arcangelo. Quella mattina, sul posto ci sono l’allora questore di Perugia, i carabinieri, i vigili del fuoco, Ugo Narducci (padre di Francesco), il fratello Pierluca, alcuni amici d’infanzia e colleghi del dottore scomparso che effettuano al posto dei familiari presenti il riconoscimento.
Non c’è dubbio: il corpo ripescato è quello di Francesco Narducci. Viene chiamata una dottoressa di guardia senza alcuna competenza in ambito medico legale che, dopo aver effettuato una sommaria ispezione cadaverica esterna, riporta sul verbale: “morto per annegamento per probabile episodio sincopale da 110 ore”. Il cadavere, invece di essere trasferito in obitorio, viene portato nella villa di famiglia a San Feliciano.
Il 15 ottobre, ancor prima di avere il nullaosta al seppellimento, viene fatto il funerale e il caso viene archiviato come “morte accidentale”. La questione non convince molte persone, in primis la vedova Francesca Spagnoli. Ma tutto cade nell’oblio fino ai primi anni 2000.
Nel 2001, a seguito di alcune intercettazioni telefoniche, disposte nell’ambito di una indagine penale che niente aveva a che fare con il caso del quale ci occupiamo, vengono ottenute informazioni circa “un medico morto strangolato al lago Trasimeno”.
Il PM del caso, dott. Mignini, ricerca il fascicolo del caso Narducci e si rende conto di alcune stranezze presenti nelle indagini del tempo. La documentazione è ambigua, nessuna fotografia del cadavere ripescato, come causa e ora della morte è riportato “annegamento (…) da 110 ore”. Nessuna autopsia. Alla luce di queste evidenze, il PM Mignini riapre il caso con un doppio fascicolo, per “omicidio volontario” e per “associazione per delinquere, favoreggiamento, occultamento e vilipendio di cadavere”.
Nel registro degli indagati vengono iscritte 23 persone, tra cui il padre e il fratello del medico scomparso, alcuni amici e colleghi presenti il giorno del ritrovamento sul molo di Sant’Arcangelo. Viene disposta la riesumazione del cadavere per eseguire l’autopsia. La famiglia Narducci appena saputo delle indagini chiede l’immediata cessazione delle stesse e si oppone alla riesumazione, la vedova Francesca Spagnoli invece, ha da subito un atteggiamento collaborativo.
Nel 2002 viene quindi eseguito l’esame autoptico dal Prof. Pierucci presso l’Istituto di medicina legale di Pavia e si scopre che la salma non corrisponde al cadavere ripescato nel 1985. Contrariamente al cadavere ripescato, che era irriconoscibile, gonfio e scuro, tipico della fase cromatica della putrefazione che porta alla distruzione del cadavere e non ad una conservazione, la salma è corificata e ben conservata, tanto che è stato possibile effettuare tutti gli esami tossicologici, istologici e del DNA. I capelli, i peli e le unghie sono integri e attaccati. I vestiti sono dozzinali e la vedova non li riconosce come appartenenti al marito.
L’esame autoptico si concentra soprattutto sulla cartilagine tiroidea. Estratta e scarnificata, presenta infatti una visibile linea di frattura, come si legge nella relazione, “sul corno superiore sinistro alla sua metà circa, con lussazione del moncone distale (…) In corrispondenza di esso il periostio-pericondrio risulta minutamente lacerato” tutto ciò si sarebbe verificato “a causa di un’asfissia meccanica violenta mediante costrizione del collo, o di tipo manuale (strozzamento) o mediante laccio (strangolamento), secondo modalità omicidiaria”. Anche il consulente di parte dei Narducci, pur continuando ad escludere un trauma in vivo, conferma la lesione “prodotta da una pressione circoscritta, meno di 2 cm, progressiva e localizzata in grado di raggiungere il punto in questione”.
Dagli esami tossicologici soprattutto su encefalo e capelli, emerge inoltre la presenza di un oppiaceo sintetico ad azione soprattutto analgesica-narcotica, del quale Narducci avrebbe fatto uso continuativo soprattutto negli ultimi 6 mesi. In particolare, nell’encefalo la concentrazione è superiore alla dose terapeutica massima, un livello quasi tossico anche se lontano dalla soglia letale.
Non c’è alcuna presenza di diatomee, alghe unicellulari presenti in caso di annegamento nei polmoni e negli organi del circolo genitale. Quindi viene smentita tecnicamente anche la morte per annegamento. A sostegno del fatto che il cadavere ripescato non è quello di Narducci, il Pm Mignini fa eseguire ben 4 consulenze tecniche, tra cui 2 consulenze antropometriche (la seconda eseguita dal RIS di Parma). Per fare questi ultimi accertamenti viene utilizzata l’unica foto dell’epoca scattata da un giornalista all’inizio del pontile di Sant’Arcangelo e, vecchie foto di Narducci per la comparazione. Le piastrelle della pavimentazione del pontile sono usate inoltre come unità di misura per calcolare la lunghezza del cadavere ripescato. Dalle due consulenze emerge che il cadavere ripescato è lungo 160 cm e ha una circonferenza della vita circa di 99 cm che corrisponde ad una taglia 60, mentre la salma è lunga 180 cm e corrisponde alla taglia 48 S. C’è quindi totale corrispondenza tra la salma e Narducci ma nessuna corrispondenza con il cadavere ripescato.
Si è cercato anche di ricostruire il volto dell’uomo del molo rilevando i punti anatomici craniometrici su delle foto di Narducci e la foto del cadavere ripescato. È emerso che quest’ultimo è brachicefalo, cioè con la larghezza maggiore della lunghezza, mentre Narducci è subdolicocefalo, cioè con l’altezza regolare al terzo distale del volto. Anche qui c’è una totale compatibilità tra la foto di Narducci e la salma, mentre una ricostruzione fedele del volto dell’uomo ripescato risulta impossibile per la pessima qualità della foto. Nella relazione del RIS viene spiegato anche l’annegamento e perché non può essere questa la causa della morte.
I segni cadaverici caratteristici: le ipostasi sono diffuse e accentuate e sono di colore rosso chiaro, disposte sul viso, spalle e alle regioni anteriori del torace perché il cadavere assume una posizione prona con la testa in basso e gli arti semiflessi. Finché il corpo è immerso la putrefazione è ritardata, ma si accelera appena fuori dall’acqua. La permanenza in acqua determina la macerazione della cute che gli fa assumere un aspetto rugoso, bianco e opaco. Ci possono anche essere anche sabbia, alghe, morsi di animali acquatici e saponificazione. Tutti questi segni non sono presenti né sul cadavere ripescato, il quale appunto risulta essere nella fase cromatico-enfisematosa della putrefazione, né sulla salma di Narducci, corificata e ben conservata.
Ad un certo punto l’inchiesta sulla morte di Narducci s’incrocia con l’inchiesta fiorentina del “mostro di Firenze”, anche se il medico perugino è risultato estraneo al capo d’imputazione originario.
È infatti noto che il medico perugino avesse contatti con aziende farmaceutiche e facesse delle consulenze in un ospedale nella zona del fiorentino.
Inoltre, aveva delle abitazioni nelle zone dove il “mostro” colpì tra cui San Pancrazio, San Casciano, Sanbuca Val di Pesa (dove peraltro c’era la fabbrica “Fruttosello” della famiglia della moglie) e anche un’abitazione nella zona del Mugello. Narducci era stato segnalato dalle forze dell’ordine ai magistrati fiorentini perché la sua macchina era stata vista nei luoghi dove il “mostro” aveva colpito ed era un sospettato per gli ultimi due duplici omicidi. Era il numero 180 nella lista dei sospettati ed era l’unico morto dopo l’ultimo duplice delitto.
A conclusione delle indagini aperte nel 2001, il caso Narducci viene archiviato come omicidio volontario a opera d’ignoti, ben diverso dalla morte accidentale con cui era stato archiviato il caso nel 1985. Tuttavia, i 23 indagati vengono tutti prosciolti o per insufficienza di elementi o per prescrizione dei reati. Questo epilogo giudiziario non chiarisce quasi nulla di quell’ 8 ottobre 1985.
Ci sono ancora troppe domande senza risposta, troppi dubbi non chiariti e misteri non risolti.
Ad esempio, una lettera che Narducci avrebbe scritto nella sua villa di San Feliciano prima di recarsi alla darsena e mai ritrovata, la sua pistola che teneva sempre in macchina scomparsa, i registri d’ingresso e uscita dall’Ospedale di Monteluce spariti. Dubbi sussistono anche sul giorno e sul luogo di ritrovamento del cadavere del “vero” dott. Narducci.
E soprattutto, il cadavere ripescato e fatto passare come suo: chi era, come è morto, che fine ha fatto? Tutti misteri che il Lago Trasimeno custodirà per sempre nelle sue calme acque.
Articolo di Harmony Dolciami
Fonti
48 small. Il dottore di Perugia e il mostro di Firenze. Alvaro Fiorucci. Morlacchi editore 2012
La strana morte del dr. Narducci. Il rebus dei due cadaveri e il “mostro” di Firenze. Luca Cardinali I e Pietro Licciardi. DeriveApprodi editore 2007
Un amore all’inferno. Diego Cugia. Mondadori editore 2007
Foto copertina https://it.wikipedia.org/wiki/File:Francesco_Narducci.jpg
Foto cadavere sul pontile di Sant’Arcangelo http://insufficienzadiprove.blogspot.com/2010/07/daniela-seppoloni-prima-parte.html
Foto Sant’Arcangelo, lago Trasimeno https://it.wikipedia.org/wiki/Sant%27Arcangelo_(Magione)
Locandina Occhio ragazzi: http://insufficienzadiprove.blogspot.com/2008/12/occhio-ragazzi.html
Harmony Dolciami, laureata in Scienze Biotecnologiche Mediche, Veterinarie e Forensi, si occupa di Tossicologia forense presso il Dipartimento di Scienze Chirurgiche e Biomediche, sezione di Medicina legale, scienze forensi e medicina dello sport dell’Università degli Studi di Perugia.