Intervista a Dario Meini Caponnetto, nipote del Giudice Antonino Caponnetto, che fu alla guida del Pool antimafia e collega fraterno di Giovanni Falcone e Paolo Borsellino

Dario Caponnetto, come vive la famiglia di uno dei più importanti giudici italiani, impegnato nella lotta alla mafia?

Le racconto un aneddoto che per me è stato da sempre molto significativo: durante il periodo del Maxi processo, mentre mio nonno si trovava a Palermo, mia nonna rimase invece a Firenze priva di qualsiasi protezione. Una mattina, uscendo per andare in campagna con il proprio nipotino di un anno in braccio, si trovò dinanzi a casa una corona di fiori, di quelle che si appongono accanto ai defunti. Di fronte a quel messaggio di morte mia nonna guardò in faccia il suo nipotino e si disse “se io adesso lascio che la paura vinca, se io adesso torno in casa, cosa mai potrò insegnare a questa piccola creatura?”  Ecco, per me questo episodio vale più di molte parole e, spiega a dovere cosa significhi appartenere ad una famiglia che ha subìto una condanna a morte da parte di Cosa Nostra. Mia nonna era un’insegnante, non un giudice, in nessun momento della sua vita aveva scelto di combattere il crimine organizzato, eppure dinanzi ad una minaccia fece una scelta personale e civile di coraggio, come se la scelta del marito fosse divenuta anche la sua.

Quali sono i suoi ricordi più significativi di quegli anni?

L’incoscienza della giovane età in cui mi trovavo ha reso certamente per me tutto più semplice, non ho mai percepito il pericolo che invece la mia famiglia respirava quotidianamente. Ogni volta che andavo a visitare i miei nonni, era per me del tutto naturale vedere accanto a loro tutti quegli uomini e quelle dotazioni, come se avessero fatto parte da sempre della loro vita. Mio nonno era solito chiamare gli uomini delle scorte i suoi “Angeli”, vi era tra loro una sinergia che andava ben oltre il rapporto di lavoro e, forse era proprio questa lotta comune per un bene superiore a rendere la loro presenza cosi naturale, intima, persino familiare.

Ricordo di aver provato nei loro confronti un senso di gelosia dovuto alla loro costante presenza con lui, presenza che a me era negata dai tanti impegni che mio nonno portava avanti. Pensi che dalle sue scorte veniva chiamato Nonno Nino, nome che nacque per esigenze di sicurezza ma che poi gli rimarrà addosso anche negli anni successivi. Ricordo che dopo la sua morte, quando il feretro uscì da Palazzo Vecchio a Firenze, mi trovai dinanzi ad una piazza piena di cittadini, che come me piangevano la sua morte e come me lo chiamavano Nonno. Ancora oggi ricordo il mio stupore per il loro dolore e la mia gelosia per quel nome, Nonno Nino, come se stessero chiamando un nonno che avevano conosciuto meglio di me.

Può parlarci dell’eredità morale, dei valori, della passione e dell’impegno civico, che Suo nonno Le ha trasmesso?

Difficile dare una risposta univoca a questa domanda, poiché ciò che io considero l’eredità morale trasmessa da mio nonno corre in effetti in due sensi molto distinti. Spesso si affaccia in me un senso di diffusa inadeguatezza, dovuta al timore di portare un cognome di cui non sono all’altezza e che non riuscirò ad onorare per intero.

Accanto a ciò tuttavia sento un forte legame con alcuni valori che hanno caratterizzato la vita adulta di mio nonno e che ho cominciato a scoprire nel tempo. L’impegno civico, l’intima attenzione ai bisogni delle persone in difficoltà, la tensione verso una legalità che porti con sé il valore sostanziale della solidarietà e non solo il mero rispetto delle regole. Chissà, forse devo a mio nonno persino il mio amore per le lettere e la Legge, due anime forti nella sua vita. Ciò che più mi preme raccontare in queste poche parole è la rete sociale che mio nonno ha lasciato, tutte quelle splendide persone che hanno condiviso con lui un pezzettino di strada verso la Giustizia e che nei miei anni di lavoro presso la Fondazione Caponnetto ho conosciuto. È indescrivibile il sentimento che si prova nell’incontrare persone che aprono le loro porte per condividere ciò che mio nonno ha trasmesso loro e, Le assicuro che questo accade ancora oggi, dopo così tanti anni, in ogni angolo d’Italia. Ecco, questo è il lascito più grande: le persone. Ho vissuto molto poco mio nonno poiché i suoi impegni lo hanno spesso portato lontano dalla famiglia, ma il senso di vicinanza e di presenza che oggi provo pensando a tutte le persone che ho accanto e con cui condivido vittorie e sconfitte, quel senso di comunanza fa sentire tutti noi parte di una grande famiglia, unita da ideali, memoria e partecipazione attiva.

Pensi che uno dei gesti che consegnano un ragazzo alla età adulta, ovvero il riuscire a fare il nodo alla cravatta, a me è stato insegnato da uno degli Angeli di mio nonno, a dimostrazione di quanto quei legami che nella sua vita ha creato, siano oggi per me un’eredità bella e forte.

 

Il giudice Antonino Caponnetto e la moglie Elisabetta protetti dagli “angeli”

 

Come porta avanti questa eredità?

Rispondendo a questa domanda mi piacerebbe piuttosto raccontare di come l’eredità di mio nonno sia portata oggi sulle spalle di molte persone che ha conosciuto. Pensi che alcuni agenti della sua scorta hanno ideato uno spettacolo teatrale sulla sua vita, altri, ancora oggi girano l’Italia per raccontare cosa abbia significato per loro, vivere sotto la minaccia delle bombe per proteggere il capo del pool antimafia. Ogni anno si svolgono vertici ed eventi in suo nome, gli si intitolano piazze o edifici pubblici, si istituiscono premi.

Personalmente cerco di essere presente ad ogni evento per quanto posso, convinto che la memoria attiva sia il miglior antidoto contro il crimine organizzato di tipo mafioso, un crimine che oggi ha vesti esteriormente più accettabili ma non meno pericolose. Ho prestato a lungo servizio all’ interno della Fondazione Caponnetto, creata dopo la sua morte da mia nonna e da alcune persone che gli erano vicine. Ho fatto alcuni campi antimafia a Corleone, un paese tanto bello quanto difficile, in cui la voglia di riscatto si sente in ogni angolo, ed in cui ho conosciuto alcuni degli uomini e donne che sono per me i più grandi esempi di vita.

Tutta via, credo davvero che non ci sia modo migliore per portare avanti l’eredità di mio nonno e di tutti coloro che hanno dato la vita per questo Paese, se non quello di fare bene il proprio dovere ogni giorno, che sia quello di studente, di cittadino, di professionista o di amministratore pubblico. Solo quando l’eredità di questi uomini diverrà la pratica quotidiana di molti, potremo sentire di aver cambiato le cose, di aver fatto un passo verso un Paese migliore.

La lascio con un discorso pronunciato da mio nonno, poiché non potrebbe esserci spiegazione migliore del concetto di eredità che immaginava lasciare, soprattutto ai giovani.

Ragazzi, godetevi la vita, innamoratevi, siate felici ma diventate partigiani di questa nuova Resistenza, la Resistenza dei valori, la Resistenza degli ideali. Non abbiate mai paura di pensare, di denunciare e di agire da uomini liberi e consapevoli. State attenti, siate vigili, siate sentinelle di voi stessi! L’avvenire è nelle vostre mani. Ricordatelo sempre!

La ringraziamo per questa preziosa testimonianza e ci auguriamo di poterla nuovamente ospitare su queste pagine.

Intervista di Paolo Mugnai