“La vita pubblica e privata di un uomo di Stato”
Come anticipato al temine dello scorso articolo, e prima di addentrarci nella vicenda del Maxiprocesso a Cosa Nostra, i successivi due articoli saranno dedicati alla figura del giudice Antonino Caponnetto. Intendo negli scritti che seguono offrire una narrazione di Caponnetto che sia rispettosa tanto del suo contributo pubblico in tema di lotta alle organizzazioni mafiose, quanto attento ad una visione più personale ed intima dell’uomo più che del giudice.
È curioso pensare che nei suoi diari giovanili Caponnetto guardasse con riluttanza ad una possibile carriera in magistratura, immaginando con poco favore una vita centrata sullo studio di “aridi libri”. Ciò che lo portò ad allontanarsi dal proprio lavoro in banca ed a intraprendere lo studio del diritto fu in effetti un suo amico, il quale ogni volta che lo incontrava era solito apostrofarlo dicendogli “davvero vuoi passare la vita a contare il denaro? Prendi un libro e studia.” E così Caponnetto si convinse, intraprese la preparazione al concorso in magistratura studiando nelle ore notturne per non abbandonare il proprio lavoro, ed infine entrò in magistratura nel 1954 alla età di trentaquattro anni.
I suoi primi passi professionali in terra toscana rivelarono già la sua indole di grande conoscitore del diritto, di portatore di una sensibilità che contraddistingue l’uomo dal funzionario, ed il cui esercizio permette il recupero di una dimensione umana in un settore a vocazione troppo spesso tecnocratica.
Fu in questo periodo che Caponnetto sollevò questioni giuridiche di grande rilievo in tema di diritti e libertà, alcune delle quali peraltro oggetto di giudizio dinanzi la Corte Costituzionale Italiana.
Caponnetto aveva una vita che definiremmo gioiosamente ordinaria, fatta di lavoro e famiglia, di processi e di amore filiale. Era uno di quegli uomini che si portano il lavoro a casa, convinto della importanza del proprio ruolo all’ interno della società.
Ricordiamoci però che Caponnetto aveva origini siciliane e seppur fosse emigrato insieme alla sua famiglia quando era molto piccolo, il collegamento con la sua terra di origine non lo abbandonò mai. Ciò ci aiuta a comprendere la sua scelta di prendere il posto di un giudice appena ucciso in modo così violento e, di farlo in uno dei territori più pericolosi della penisola. Caponnetto espresse a tal proposito la convinzione che le forze migliori della Sicilia stessero soccombendo dinanzi ad un nemico che per lui era impensabile non contribuire a combattere.
Furono questi gli anni più complessi ed intensi della vita di Caponnetto, quattro anni e quattro mesi di lavoro incessante e di lontananza dagli affetti. Fu un periodo segnato dalla paura di venir uccisi, dalla necessità di adottare cautele ogni giorno diverse tra uomini armati ed auto blindate, di pernottamenti in una caserma della Guardia di Finanza che molto rassomigliava alla dimensione di reclusone propria della popolazione carceraria. Furono però anche gli anni delle soddisfazioni, della prima vera vittoria dello Stato su Cosa Nostra, della amicizia con Falcone, Borsellino, Di Lello e Guarnotta, della consapevolezza che tutti gli sforzi sofferti in quei mesi fossero valsi la gioia di aver contribuito a cambiare l’Italia, a liberare la Sicilia.
Al termine di questo periodo Caponnetto andò in pensione, convinto che come suo successore sarebbe stato scelto Giovanni Falcone. Tuttavia, così non fu, a Falcone venne preferito Meli, consigliere più anziano ma assai lontano dalle competenze necessarie per guidare un pool di contrasto al crimine mafioso. Quel momento segnò un’incrinatura forte nei membri del pool, tanto è verro che nei mesi successivi la struttura stabilizzata da Caponnetto venne smantellata ed i suoi giudici si dispersero.
La storia di Caponnetto non finisce tuttavia con il suo rientro a Firenze poiché da quel momento fino alla sua morte visse dieci anni di impegno politico e sociale di straordinaria intensità. Ho già raccontato di questo in una intervista che potete trovare nel primo numero di Obiettivo Investigazione, ciò che tuttavia vorrei ancora ricordare è la sensibilità che contraddistinse Caponnetto in questi anni maturi, la convinzione che vi fosse una grande sfida da cogliere e vincere, quella di educare i giovani al rispetto dei valori fondamentali consacrati nella nostra Carta Costituzionale, vero antidoto contro la criminalità e l’illegalità.
Nella speranza che abbiate gradito questo scritto, anticipo che il prossimo numero avrà ad oggetto la figura di Caponnetto nei momenti successivi all’uccisione dei colleghi Falcone e Borsellino, dalla umana reazione di sconforto e di dolore al tentativo di costruire una rete della legalità presente in tutta la penisola.
Fonti
Foto Antonino Caponnetto http://www.antoninocaponnetto.it/
Articolo di Dario Meini Caponnetto