“Considerazioni preliminari”

Care lettrici e lettori, eccoci ancora assieme in questo percorso di analisi storico-giuridica sul fenomeno delle organizzazioni criminali di tipo mafioso. Nello scorso numero ci eravamo lasciati con una domanda: quale sarà la reazione dello Stato Italiano dinanzi al dilagare e rafforzarsi delle mafie? Ebbene, si tenterà adesso di dare una risposta a questo interrogativo trattando di quella esperienza unica e allora senza precedenti che fu il maxiprocesso a Cosa Nostra, alla quale dedicheremo alcuni articoli, ciascuno secondo un proprio oggetto. La necessità di trattare il maxiprocesso in maniera non eccessivamente sommaria, ed affidandogli quindi più di una singola pubblicazione, nasce dalla volontà di offrire una panoramica sui protagonisti e un racconto sugli avvenimenti storico-giudiziari.

Prima di entrare nel vivo di quella esperienza grandiosa converrà offrire un piccolo inquadramento temporale. Siamo agli inizi degli anni ottanta del secolo scorso, un periodo di grande tumulto ed incertezza per gli italiani, scossi da ogni lato da fenomeni eversivi, terroristici e da una grave turbolenza istituzionale.

Cosa Nostra, a quel tempo la organizzazione criminale più potente del paese, mieteva senza sosta vittime tra i suoi antagonisti, in una spregiudicata guerra contro le istituzioni democratiche, assassinando giudici, poliziotti, amministratori locali. Proprio da questa guerra contro lo Stato parte la nostra “tappa”, ed in particolare dalla uccisione del Giudice Rocco Chinnici, avvenuta nel luglio del 1983 a Palermo. Partiamo da questo evento storico per almeno due ragioni che meritano considerazione. La prima riguarda le modalità di commissione dell’ attentato, per la prima volta compiuto “alla libanese”, con una autobomba che fu fatta deflagrare sotto casa del Giudice e in seguito alla cui esplosione persero la vita il Giudice Chinnici, due uomini di servizio e persino il portiere dello stabile. Questa sorta di modalità nuova di azione omicida posta in essere da Cosa Nostra, assai lontana rispetto al più tradizionale omicidio mirato, portò con se un messaggio forte e terribile. L’uccisione del Giudice Chinnici divenne un vero e proprio megafono in mano alla mafia siciliana con il quale questa non solo rivendicò il proprio diritto di vita e di morte dinanzi a chi vi si fosse opposto, ma al contempo chiarì che d’ora in avanti questa non avrebbe risparmiato neppure coloro che si fossero trovati nelle vicinanze della vittima, per servizio o per caso.

Pensando a quell’evento e alle sue conseguenze salta subito alla mente il Giudice Falcone, tra i tanti, e quegli anni amari in cui i vicini di casa dei magistrati antimafia si lamentavano pubblicamente della loro presenza nel quartiere, causa di fastidi dovuti a controlli, bonifiche e sirene spesso in funzione, ma sopratutto causa del pericolo dovuto al loro fronteggiare un nemico cosi potente e senza scrupoli.  Obiettivo raggiunto, si potrebbe tristemente dire; la strategia mafiosa aveva lasciato il proprio segno stigmatizzante, ogni siciliano a quel tempo sapeva che la sola presenza di un uomo “antimafia” portava con se una quota di rischio e per questo andava isolato, allontanato. Difficile non pensare a questi grandi protagonisti della lotta alle mafie e non vederne la loro solitudine, troppo spesso denigrati e non adeguatamente protetti proprio da quel mondo istituzionale che avrebbe dovuto più di ogni altro tutelarne la vita e l’eccezionale opera professionale.

Un ulteriore ordine di ragioni per cui abbiamo scelto di prendere in considerazione, tra i tanti, proprio questo evento è costituito dalle motivazioni che portarono all’attentato e dalle conseguenze che questo ebbe nel mondo almeno giudiziario. Chinnici fu, come è noto, l’ideatore di un metodo diverso di procedere in via giurisdizionale, animato dalla consapevolezza che un insieme di giudici avrebbe potuto svolgere i propri compiti di contrasto a Cosa Nostra in modo più incisivo rispetto alla normale titolarità individuale della inchiesta. Questa consapevolezza, che probabilmente fu concausa della sua morte, divenne un vero e proprio cardine nel sistema di contrasto al crimine organizzato di tipo mafioso.

Il testimone del Giudice Chinnici fu raccolto da Antonino Caponnetto, giudice allora in servizio a Firenze e propostosi per il ruolo di Consigliere Istruttore alla morte del suo predecessore, oggetto del prossimo numero di Obiettivo Investigazione. Credo non vi sarà difficile immaginare che la prossima pubblicazione riveste per me una importanza straordinaria, rispetto alla quale spero mi concederete di trascendere dal nostro percorso storico per offrirvi il racconto di “ Nonno Nino”.

Fonti

Foto udienza Maxi processo: https://it.wikipedia.org/wiki/Maxiprocesso_di_Palermo

Articolo di Dario Meini Caponnetto


dario caponnetto