“Osservazioni intra e inter disciplinari”

 – Prima parte –

Quello sulle contiguità e sulle aderenze osservabili tra le attività di intelligence e quelle di investigazione non è certamente un dibattito recente. Molti e autorevoli autori si sono confrontati sulla questione argomentando approfonditamente le proprie tesi. L’impressione però è che questo dibattito – quali che siano le conclusioni che ne sono emerse – si sia sempre mosso soltanto attorno agli aspetti relativi all’ordinamento e alle politiche operative, tralasciando quasi del tutto l’analisi delle correlazioni sistemiche che intercorrono tra le due attività al livello disciplinare e che, allo stato, non sembra siano state ancora sufficientemente indagate (né tantomeno recepite in senso disciplinare all’interno degli assetti teoretici delle due discipline).

Con la consapevolezza che la complessità del problema richiede un confronto franco, aperto e costruttivo tra i diversi ambiti disciplinari, la nostra intenzione è quella di affrontare la problematica osservandola al “livello di astrazione”[i] della cosiddetta Teoria Generale per l’Intelligence delle Fonti Aperte[ii] così come descritta al capitolo 1 del volume Open Source Intelligence Application Layer[iii] al quale rimandiamo per ogni altro approfondimento e per tutto quanto non potrà essere affrontato in questa sede. È certamente un punto di vista particolarmente specializzato, su due discipline altrettanto specialistiche ma che forse – proprio per questo motivo – può contribuire a evidenziare alcuni particolari aspetti della questione che normalmente vengono tralasciati.

Per fugare il campo da ogni fraintendimento, sarà utile spendere qualche parola sui concetti che stanno alla base della Teoria Generale per l’OSINT e dell’intelligence in senso lato. Lo scopo dichiarato è quello di definire con la maggiore precisione possibile cosa davvero sia l’Intelligence delle Fonti Aperte e cosa invece no. In un contesto culturale in cui ormai non è difficile avere accesso alle informazioni specialistiche – e quindi anche alle definizioni disciplinari – questo non deve apparire come un eccesso di pedanteria o, peggio, una sterile deriva dogmatica. Si tratta invece – dato che in fin dei conti lo scopo è quello di comparare, in tutta la loro complessità, due assetti disciplinari che in qualche modo appaiono non dissimili – di una esigenza di rigore e chiarezza che è strumentale alla stessa leggibilità di una indagine di questo tipo.

L’indeterminatezza delle concettualizzazioni generaliste che troppo spesso anche le fonti più specializzate offrono in merito a concetti di “Rete” o “digitale”[iv] ha portato a equivoci piuttosto significativi sia nel campo disciplinare dell’intelligence che in quello di OSINT. Ad esempio se interroghiamo un qualsiasi motore di ricerca o un qualsiasi social network[v] usando la parola chiave “OSINT” ci accorgiamo di come la quasi totalità dei risultati – siano essi riconducibili a individui, siti, imprese, profili professionali, expertise, prodotti, servizi, attività di formazione ecc. – è unicamente relata a ciò che oggi, incappando in una fallacia di “generalizzazione indebita”, superficialmente definiamo “dominio digitale” [vi].

Inoltre il novero delle professionalità e dei ruoli connessi alla parola chiave “OSINT” evidenzia quasi esclusivamente figure di expert, analyst, specialist, consultant, trainer o advisor[vii]: in ogni caso nulla che sia riconducibile all’esistenza di un impianto teoretico e disciplinare per l’OSINT e pertanto alle attività di ricerca, studio, sperimentazione e innovazione disciplinare. Questi e altri indicatori sembrano descrivere una percezione comune di OSINT tristemente limitata alle sue più immediate applicazioni tecnologiche e commerciali, che finiscono per relegarla a un mero insieme di tecniche e procedure operative, la cui raison d’être sembra essere unicamente quella di esistere all’interno del “digitale”.

Nulla di tutto ciò, ovviamente: l’OSINT è disciplina a pieno titolo. Essere disciplina vuol dire possedere un costrutto teoretico (teorie, metodi, prassi disciplinari) proprietario robusto, ben formato e ben descritto; un sistema organizzato di teorie, metodi di interrogazione dell’oggetto di studio, prassi analitiche e disciplinari e linguaggi specialistici in grado di caratterizzare, differenziare la disciplina da tutti gli altri campi della conoscenza, contrassegnandone il perimetro, indicando le modalità e le prassi attraverso le quali essa si interfaccia con il proprio ambiente e con gli altri ambiti disciplinari.

L’avvento di un certo tipo di software applicativi divenuti accessibili tanto dal punto di vista operativo che da quello economico, progettati appositamente per “tirar giù” dalla rete[viii] o da altri database elevate quantità di dati operazionali stipati all’interno dei pacchetti e dei protocolli di comunicazione e per evidenziarne le relazioni topologiche e tipologiche attraverso una interfaccia grafica dinamica, interattiva e accattivante, ha generato l’errata convinzione che il semplice impiego di quei software all’interno di in un qualche tipo di attività analitico-informativa o la mera padronanza nell’uso delle funzioni proprietarie del software significasse già in qualche modo “fare intelligence” o “fare OSINT”[ix].

Inoltre occorre precisare che anche da un punto di vista eminentemente etico, il fatto di passare al setaccio tracce di dati potenzialmente personali (o comunque dati che possono essere facilmente ricollegati a individui, gruppi ed organizzazioni) incapsulati – quasi certamente alla insaputa degli utenti – all’interno di protocolli o nei pacchetti di rete certamente non significa in alcun modo “fare OSINT”. Una attività di questo tipo, infatti, sarebbe più correttamente riconducibile a un processo di investigazione convenzionale, magari di tipo forense o comunque ad attività di intelligence di natura classificata.

Fare OSINT, infatti, significa lavorare con informazioni che definiamo “aperte” non perché siano per qualche motivo “tecnicamente estraibili” dai file temporanei e dai log di un sistema operativo, o dai record di un Whois o che magari siano state distrattamente o inconsapevolmente “dimenticate” nei meandri di una qualche struttura di dati o di un protocollo per l’instradamento di una email.

Fare OSINT vuol dire lavorare con informazioni che sono erogate da entità informative – le “fonti aperte” appunto – che consapevolmente e volontariamente annunciano la loro libera intenzione di erogare il proprio “carico pagante” (vale a dire la propria conoscenza) attraverso la condivisione di narrazioni rese liberamente disponibili e accessibili. Dunque affinché si possa parlare di “vera” Intelligence delle Fonti Aperte è indispensabile che la disponibilità e la accessibilità di fonti, dati ed informazioni sia volontaria, consapevole, esplicita e soprattutto non accidentale.

In tutti i casi resta il fatto che la mera implementazione, all’interno di una qualche attività operativa, di frammenti di assetti teoretici disciplinari o porzioni decontestualizzate di tecniche che appartengono a una certa disciplina certamente non autorizza nessuno a trasferire su di sé la credibilità del campo disciplinare da cui quelle teorie e quelle tecniche provengono. Nel caso peggiore si finirebbe, infatti, per comportarsi come l’astrologo che tenta di avvalorare le sue profezie farcendole con episodiche pseudocognizioni para-scientifiche malamente trafugate dal campo disciplinare della astrofisica.

Occorre inoltre anche saper ben considerare e valutare la tipologia del nesso di causalità che esiste tra una disciplina e un particolare tipo di tecnologia. L’esempio canonico in questi casi è quello che riguarda la medicina nucleare: il medico radiologo che usa un tomografo ad emissione di positroni (PET) o una apparecchio per la RMN, per quanto egli possa ritenersi esperto di quel metodo, di quella tecnica e dei procedimenti che quella tecnica richiede (e certamente in una certa misura dovrà per forza esserlo!) e per quanto necessariamente possieda delle nozioni di base sulla disciplina i cui fondamenti teorici stanno alla base della tecnologia e degli apparecchi che impiega, sicuramente non si autodefinirà mai come “fisico teorico”, né ragionevolmente potrà vantare una conoscenza approfondita del metodo della “Trasformata di Fourier”[x] applicato alla ricostruzione delle immagini, e nemmeno potrà sostenere di essere un fisico sperimentale per via del semplice fatto di utilizzare una apparecchiatura che è il frutto delle innovazioni apportate da quella disciplina. La stessa cosa vale per OSINT e per i prodotti tecnologici che a essa si ispirano.

L’operatore o l’analista che impiega software applicativi (Maltego o altri) per scandagliare porzioni di reti informatiche o sociali, o per fare il footprinting di domini Internet, o recuperare (direttamente o indirettamente) tracce di dati personali che l’utente ingenuamente (ma anche comprensibilmente) non sa di disseminare, certamente non può dire di star facendo OSINT. Questo sia per le motivazioni disciplinari appena esposte, sia perché in casi simili manca del tutto l’adesione al cosiddetto concetto di openess, ovvero – come si è detto – la esplicita, volontaria e consapevole espressione di disponibilità delle fonti a effettuare narrazioni relative al loro proprio carico pagante. Narrazioni che devono presentare i caratteri originari – cioè non indotti o modificati artificiosamente, con la forza o con l’inganno – delle proprietà di “disponibilità” e “accessibilità”[xi].

Qualsiasi attività di ricerca informativa che manchi di questi requisiti non è concettualmente riconducibile alla disciplina OSINT ma, eventualmente, ad altre e diverse tipologie di attività informative e analitiche.

Si può dire, dunque, che l’OSINT sia certamente “disciplina”[xii] in quanto evidenzia proprietà ed elementi teoretici che la caratterizzano in modo specifico rispetto agli altri ambiti disciplinari. Questa caratterizzazione vale anche verso le altre forme di intelligence e soprattutto vale anche al di fuori di ciò che possiamo definire digitalità. A specializzare la postura disciplinare di OSINT contribuisce, tra le altre cose, l’assetto bipartito del suo scopo istituzionale.

Infatti in quanto attività analitica posta in essere da individui e organizzazioni, lo scopo di OSINT risiede nel raggiungimento (all’interno di un determinato contesto) di una concreta condizione di vantaggio strategico sui competitori; condizione che viene perseguita attraverso la ricerca, la scoperta, la validazione e l’interrogazione di fonti che, come detto, si qualificano volontariamente e consapevolmente come “aperte”. In altre parole fonti nelle quali le proprietà originarie di “disponibilità” (= ciò che esiste) e “accessibilità” (= ciò che è interpretabile) non risultano essere affette da alcun sistema di classifica, ovvero di secretazione; questo tanto in relazione ai dati e alle informazioni che le fonti narrano, quanto alle modalità attraverso le quali le fonti effettuano quelle narrazioni.

In quanto disciplina invece – cioè in quanto partizione artefatta del sapere operata con lo scopo di facilitare la trasmissione e la condivisione di quei saperi – lo scopo di OSINT è lo studio sistematico delle teorie, dei metodi, delle prassi, delle tecniche e delle tecnologie che risultano essere funzionali alla gestione delle informazioni e della conoscenza e che in questo senso possono essere finalizzate al raggiungimento dell’obiettivo del vantaggio strategico.

Per questo motivo la Teoria Generale per l’Intelligence delle Fonti Aperte apre alla necessità di un approccio spiccatamente interdisciplinare per OSINT, auspicando al contempo l’avvio di prestiti disciplinari provenienti anche da altre discipline ben più robuste e antiche (storiografia, filosofia, filosofia dell’informazione, linguistica, eccetera). Questi interscambi sono indispensabili affinché ci sia vera crescita e innovazione all’interno dei costrutti teoretici disciplinari: nessuna disciplina ha speranza di crescere e innovarsi se si pone in modo autoreferenziale nei confronti degli altri “saperi”, se rimane chiusa all’interno della sua “bolla”.

A questo punto è definitivamente chiaro come OSINT non debba necessariamente o direttamente avere a che fare con una qualche forma di tecnologia digitale (quale che sia) così come è altrettanto chiaro che soltanto né “dal” digitale, “con” il digitale o “nel” digitale OSINT trae la sua origine, la sua architettura teoretica, i suoi scopi disciplinari. L’OSINT (e l’intelligence in senso generale) dunque non nasce con, su o per Internet (o il web, i social network, il cyberspazio e così via) ma è ovvio che anche in quel contesto possa essere implementata con cognizione di causa. Il campo di azione di OSINT riguarda dati, informazioni e conoscenza liberamente e consapevolmente messa a disposizione da quelle fonti che si annunciano disponibili a farlo, a prescindere dal fatto che esse manifestino o meno una natura digitale o che usufruiscano per le loro narrazioni di servizi o supporti digitali.

Dovendola definire si può dire che l’OSINT sia la disciplina che studia le entità informazionali che presentano attitudini naturali alla narrazione della propria conoscenza, ovvero la disciplina che indaga le dinamiche strategiche e le correlazioni infra/intra sistemiche che tali entità instaurano all’interno del loro ambiente: l’Infosfera[xiii]. In questo senso l’attitudine principale di OSINT – tanto come disciplina quanto come attività analitica – è quella di poter essere utilmente implementata in una vastissima gamma di contesti caratterizzati da alta densità di informazioni.

Internet, il web, i social network o ciò che chiamiamo “il digitale” non sono altro che alcune – generalmente le più facilmente implementabili – tra le applicazioni di OSINT, ma certamente non sono le uniche e probabilmente nemmeno le più rilevanti[xiv]. È dunque di estrema importanza opporsi a questa prassi di riduzione (concettuale e materiale) del novero tipologico delle fonti e delle informazioni possibili a quelle residenti esclusivamente nel dominio digitale, dominio che non necessariamente costituisce l’unico o il più conveniente sostrato sul quale sviluppare attività di intelligence/OSINT.

Fatta questa (lunga) premessa teorica, nel prossimo numero di Obiettivo Investigazione andremo ad affrontare con maggiori strumenti concettuali il tema centrale di questo contributo: le aderenze, le contiguità e le diversità disciplinari tra l’OSINT, l’intelligence e l’investigazione.

Articolo di Giovanni Nacci

Fonti

Foto http://www.intellisfera.it/site/

[i] Floridi, L., e Sanders, J. W. 2004, “The method of abstraction” in Yearbook of the artificial. Nature, culture and technology. Models in contemporary sciences, a cura di M. Negrotti (Bern: Peter Lang).

[ii] TG/OSINT.

[iii] Nacci, G., Open Source Intelligence Application Layer, Cap. 1, 2017, Epoké.

[iv] Ma vale lo stesso anche per altri concetti come “IA”, “cibernetica”, ecc.

[v] Le risultanze che seguono sono relative a Linkedin, ma sono replicabili ovunque, anche su network ancora più specializzati come Academia o ResearchGate.

[vi] https://www.analisidifesa.it/2016/07/cyberspazio-definirlo-dominio-per-poterlo-occupare/

[vii] Termini ai quali vanno aggiunti, come prefisso o suffisso, i lemmi: webint, socmint, big data analisys, dark/deep web analisys, cybersecurity/cyberspace, digital forensic, cyber investigation/footprinting, cyberintelligence, ecc.

[viii] Termine da intendere nella accezione più generale possibile.

[ix] Un po’ come se il fatto di conoscere a fondo tutte le possibilità di un moderno software per l’elaborazione dei testi significasse automaticamente essere in grado di scrivere dei buoni romanzi. Con la differenza che il software per l’elaborazione dei testi non “scrive da solo”, mentre quelli di cui si sta parlando sono in grado di presentare un qualche tipo di output “semilavorato”, operando sulla base di criteri algoritmicamente predeterminati.

[x] https://it.wikipedia.org/wiki/Trasformata_di_Fourier

[xi] Per la definizione completa delle proprietà di “accessibilità” e “disponibilità” si faccia riferimento ai rispettivi lemmi in Nacci, G., Microglossario Interdisciplinare per l’Intelligence delle Fonti Aperte, Epoké, 2019, pag. 23 e 88

[xii] Giovane, senza dubbio, se paragonata ad altre discipline come la fisica, la filosofia o la storiografia, ma pur sempre “disciplina”

[xiii] https://it.wikipedia.org/wiki/Infosfera

[xiv] Questo però è un discorso che per la sua vastità va necessariamente affrontato in altra e diversa sede. Per quello che al momento ci riguarda basti pensare alla totalità del patrimonio documentale che è ancora disponibile in qualsiasi forma fisica non digitale (carta, bronzo, pietra, per non parlare dei singoli individui, della loro memoria storica e delle loro narrazioni orali) e in una pluralità di linguaggi (scrittura, pittura, scultura, ecc.) che è lungi dall’essere digitalizzato e che anzi probabilmente non lo sarà mai.


Giovanni Nacci è Ufficiale in congedo della Marina Militare. Dal 1995 esperto in teorie, metodi e sistemi per l’OSINT. Dal 2000 al 2019 si è occupato, nel settore privato, di consulenza e formazione in materia di OSINT per aziende, enti ed organizzazioni. Nel 2017 fonda «Intelli|Sfèra – Idee, valori e contenuti per l’innovazione disciplinare nell’Intelligence delle Fonti Aperte e Originarie» (www.intellisfera.it) progetto dedicato alla realizzazione di attività culturali, scientifiche e di divulgazione finalizzate alla innovazione disciplinare nell’Intelligence delle Fonti Aperte, oltre che alla promozione di OSINT come attività originaria finalizzata all’accrescimento della conoscenza negli individui e nelle Organizzazioni. Ha pubblicato con Edizioni Epoké, Nyberg, «Intelligence&Storia», «AnalisiDifesa». È stato coordinatore dell’Osservatorio Infowarfare dell’Istituto Italiano di Studi Strategici Machiavelli. Docente al Master in Studi di Intelligence e Sicurezza Nazionale (Link Campus University, Roma), è stato relatore al Tirocinio di Intelligence del Corso di Laurea in Scienze dell’Investigazione dell’Università dell’Aquila. Attualmente è funzionario presso un Ente Pubblico territoriale.