“Osservazioni intra e inter disciplinari”
– seconda parte –
Il primo aspetto che è indispensabile evidenziare è che tanto le attività di investigazione quanto quelle di intelligence hanno origine e si sviluppano come risposta naturale alla emersione di una esigenza di tipo epistemico: la necessità, il bisogno, addirittura l’urgenza di “conoscere”.
Come vedremo nel prosieguo, la finalizzazione strategica di questa “reazione epistemica” verrà poi indirizzata nelle due discipline in modo anche assai diverso tra loro, ma l’origine è indubbiamente comune e risiede nella naturale, primaria – diremmo anche ancestrale – aspettativa di conoscenza dell’essere umano. Ciò vuol dire che, in origine, in entrambe le discipline lo scopo principale è quello della innovazione degli stati interni di un determinato sistema di conoscenze[i].
L’ “aggiornamento” di questi stati sistemici avviene per il tramite di un ciclo ermeneutico che prevede la presenza di almeno tre macro-fasi: 1) l’assunzione di nuove cognizioni attraverso la percezione e successivamente l’interpretazione – sulla base delle conoscenze già disponibili – delle narrazioni effettuate dalle fonti che “abitano” il contesto (apprendimento per pre-comprensione) e 2) l’opportuno incardinamento di quelle cognizioni all’interno del sistema di conoscenze già disponibili (analisi propriamente detta) e 3) la finalizzazione di quell’incardinamento all’ottenimento di un vantaggio competitivo (analisi strategica).
Questo vuole dire che la materia prima o – in parole più povere – il “carburante” dei processi di investigazione e di intelligence (carburante che è composto essenzialmente da entità informative disponibili per lo più in forma documentale[ii]) è il medesimo, come medesimi sono i processi di trasformazione e di lavorazione che quel carburante subisce.
Il fatto di condividere la stessa natura informativa introduce una importante analogia tra le due discipline.: Tanto l’investigazione quanto l’intelligence si prestano ad una vastissima gamma di attività, applicazioni e implementazioni nei contesti in cui:
- l’informazione è presente in grandi quantità, sia in termini di type (= molti tipi diversi di informazioni) sia in termini di token (molte istanze di un determinato tipo di informazione);
- l’informazione è un elemento costitutivo del contesto (es.: il DNA, l’archivio, Internet, ecc.);
- il contesto dipende in modo critico dalla quantità e dalla qualità delle informazioni (il semaforo, il sonar o di nuovo il DNA).
Questo è il motivo per il quale sono tutt’altro che infrequenti i casi in cui un medesimo processo analitico richieda – parallelamente o in modo asincrono – tanto attività di investigazione quanto attività di intelligence.
È dunque probabilmente proprio a questa sorta di commistione congenita – e non al fatto che le due discipline presentino perimetri disciplinari poco definiti – che si deve il manifestarsi di qualche confusione tra i concetti di investigazione e intelligence. Confusione che, nei casi più infelici, arriva fino a considerare i due termini come sinonimi (o quasi).
Elenchiamo ora alcuni tra gli elementi che avvalorano la tesi a favore delle due autonome identità disciplinari per l’investigazione e per l’intelligence. A tal proposito è importante sottolineare come questa dicotomia vada sempre intesa nel senso di apertura – e non di esclusione – verso la concreta possibilità di raggiungere una più ampia complementarietà tra le due discipline. Il principale tra questi elementi è la diversa prassi euristica[iii] che le due discipline implementano, ovvero l’insieme dei comportamenti, delle modalità e delle “tecniche” attraverso le quali le attività di ricerca vengono indirizzate e condotte. Tali prassi evidenziano origini e pratiche sensibilmente diverse nelle due discipline.
In primo luogo bisogna dire che nella investigazione la prassi euristica si fonda e ha origine in qualcosa che potremmo definire come una “manifestazione fattuale”, ovvero l’emersione – conoscibile o percepibile – di un qualcosa che accade o è accaduto: in parole povere ciò che nel linguaggio colloquiale chiamiamo appunto un “fatto”[iv] (ovvero un evento, una circostanza, un fenomeno che in quanto tale ha la particolarità di essere reale, concreto e conosciuto. Facciamo qualche esempio per chiarire meglio questo concetto.
Nella investigazione criminale, ad esempio, il “fatto” che dà origine alla prassi euristica (cioè, lo ricordiamo, alla “postura” delle attività di ricerca) è per lo più ciò che comunemente definiamo “reato” o meglio – senza troppo scendere in tecnicismi che richiederebbero l’intervento di esperti di dominio della relativa disciplina – l’oggettivazione[v], anche soltanto parziale o talvolta addirittura potenziale, di un atto antigiuridico che genera eventi contrari agli interessi protetti dalla norma penale.
Nella investigazione medica il “fatto originante” sarà invece costituito dalla emersione – conoscibile o percepibile – di un sintomo lamentato dal paziente, ovvero da evidenze di natura fisica o strumentale (e quindi documentale) o addirittura dall’ipotesi che più evidenze concomitanti possano far pensare alla presenza – anche solo potenziale, o anche solo come probabilità statistica – di una patologia o al fatto che essa possa in futuro insorgere.
Nella investigazione storica o archeologica, infine, il “fatto” che origina l’investigazione sarà costituito dal rinvenimento di tracce, documenti o reperti relativi o riconducibili a un evento o periodo storico o che sono in grado di giustificare l’ipotesi potenziale di un certo “fatto” storico.
Dagli esempi precedenti si può facilmente osservare come nella investigazione (lato sensu) gli elementi originari (fatto, atto, evento, interesse protetto, ecc.) sono per lo più entità che sono concrete, conoscibili, formalizzate e precedentemente categorizzate all’interno di un sistema formale di riferimento (evento di furto, frode, estorsione, omicidio, violenza o una battaglia, la stipula di un armistizio, ecc.).
Nelle attività di intelligence a originare e guidare la prassi euristica è invece una ipotesi, per la quale si suppone – o addirittura si auspica – una certa rilevanza strategica, all’interno in un certo contesto, date certe condizioni. Ovvero, ancora meglio, l’individuazione di fatti – concreti o futuribili, spontanei o artificiosi – che incardinati all’interno di un determinato contesto possano, in potenza, dimostrarsi in grado di generare un certo tipo di conseguenze strategiche. Dunque se nell’investigazione l’origine della prassi euristica risiede nell’ambito di una realtà esplicita, concreta, ben delimitata e che soprattutto si dà per fattuale, nell’intelligence risiede nel ben più ampio novero delle ipotesi che sono plausibili, possibili e soprattutto delle ipotesi che sono desiderabili, ovvero di quelle che sarebbero virtualmente in grado di condurre verso il vantaggio strategico.
Un’altra differenza riguarda i “tempi” nei quali la prassi euristica viene avviata e fermata. Normalmente nella investigazione il momento di avvio delle attività euristiche è successivo al manifestarsi del “fatto”, ovvero successivo alla notizia di reato, successivo alla oggettivazione del sintomo o alla evidenza del risultato strumentale, successivo – infine – al ritrovamento del reperto o del documento. Allo stesso modo nella investigazione la prassi euristica ragionevolmente termina nel momento in cui viene oggettivata ogni ragionevole proprietà e relazione significativa che il “fatto” manifesta o ha manifestato all’interno del contesto.
Nell’intelligence invece la prassi euristica è figlia soltanto della finalità ultima dell’intelligence, ovvero del raggiungimento di una auspicata condizione di vantaggio strategico sui competitori ed è pertanto avviata al momento della emersione di quella esigenza di superiorità strategica e procede senza soluzione di continuità, a prescindere dal livello di conoscenza ottenuto a un certo tempo “t” e – ovviamente – anche a prescindere dall’esistenza o meno di un fatto scatenante concreto.
Tutto ciò conduce ad una riflessione assai significativa: l’investigazione opera per la oggettivazione delle proprietà effettive, reali del “fatto” e in essa non è accettabile che la prassi euristica possa modificare o comunque in qualche modo “inquinare” le proprietà originarie del fatto stesso o quelle del contesto in cui il fatto insiste. L’intelligence invece si estende alla costruzione di ipotesi e contesti alternativi (spesso addirittura anche controfattuali) e, di più, all’incardinamento nel contesto di riferimento di ipotesi e fatti inediti che si ritiene possano essere forieri di un vantaggio strategico. L’intelligence dunque tende alla costruzione delle proprietà oggettive di una realtà, più che alla loro oggettivazione.
Dunque se nell’investigazione lo “stile” euristico è assai assimilabile ad una più vincolante prassi che siamo abituati a definire “forense”, ovvero che tende il più possibile a preservare le proprietà originarie del fatto e del contesto, nell’intelligence la prassi euristica tende più a scoprire – all’interno del contesto – quegli elementi che, se e quando adeguatamente implementati, sono in grado di incrementarne il potenziale strategico[vi].
Volendo fare un paragone[vii] con la letteratura si potrebbe addirittura arrivare a ipotizzare che l’investigazione assomigli a una attività di lettura, di decostruzione rispettosa e interpretazione rigorosa di un testo (o di un sistema di testi) mentre l’intelligence assomigli di più alla “costruzione” di un testo, il cui fine ultimo non sta tanto nell’essere decifrato in modo coerente e inequivocabile ma bensì nel fatto dell’essere interpretato in modo utile[viii].
Le differenze tra investigazione e intelligence sembrano dunque esistere tanto al livello disciplinare[ix] quanto ad un livello di mindset. Questo non vuol affatto dire, lo ripetiamo, negare che possano esistere (anzi, coesistere) all’interno di una attività analitico-informativa delle aderenze, delle interazioni, degli sconfinamenti tra le due discipline; e nemmeno vuol dire che siano da osteggiare i famosi interscambi epistemologici che invece la Teoria Generale per l’Intelligence delle Fonti Aperte pone a fondamento di una concreta prassi interdisciplinare[x]. Molto più semplicemente quel che si vuol dire è che – proprio al fine di abbracciare un concetto di interdisciplinarità vera, effettiva, “attuata” – è necessario prima di ogni cosa riconoscere ad ogni disciplina la propria specificità, senza la quale, dopotutto, nessun ambito disciplinare si manifesta come tale.
Quanto appena detto assume ancora maggiore importanza nel momento in cui il discorso si sposta sul cosiddetto ambito “digitale”, su Internet o più genericamente su ciò che abitualmente definiamo rete o cyberspazio oltre che, ovviamente, quando si discute di processi di formazione o si progettano attività di addestramento. È proprio in queste occasioni infatti – probabilmente assai più che nelle fasi analitiche – che occorre prestare particolare attenzione alla integrità dei vari domini disciplinari, scongiurando inutili generalizzazioni o ingiustificate e pericolose fusioni disciplinari. Non bisogna cadere nell’errore di considerare questi fenomeni di generalizzazione soltanto mere sviste lessicali o pessime abitudini linguistiche: sono errori concettuali che hanno l’effetto di vanificare ogni possibilità di attivare tutti gli opportuni, necessari e possibili prestiti e sconfinamenti disciplinari tra investigazione, intelligence e gli altri campi disciplinari, che sono fondamentali per l’accrescimento e l’innovazione degli assetti teoretici di entrambe le discipline.
Infine, a proposito di linguistica e confini disciplinari, non va dimenticato che ogni campo disciplinare propduce un suo proprio linguaggio specialistico – o microlingua[xi] – che deriva dal sistema di conoscenze, prassi, metodi, tecniche e strumenti attraverso i quali la disciplina usa e comunica il proprio costrutto teoretico. Intelligence e investigazione non si sottraggono a questa regola: entrambe esprimono la propria microlingua e pertanto sarebbe opportuno prevedere la realizzazione di adeguate interfacce linguistico-disciplinari[xii] che permettano alle due discipline – agli analisti, agli operatori e agli esperti dei due domini disciplinari – di confrontarsi in modo concreto e non semplicemente di “incontrarsi” (o scontrarsi) senza mai realmente prendere in considerazione l’una l’assetto teoretico dell’altra.
Questa potrebbe probabilmente essere una prima, concreta azione verso una maggiore integrazione funzionale tra intelligence e investigazione, o comunque verso un migliore impiego dell’una e dell’altra disciplina all’interno de sempre più complessi processi analitico-informativi finalizzati al raggiungimento delle legittime finalità istituzionali tanto delle Organizzazioni[xiii] – intese in senso lato – quanto dei gruppi e anche dei singoli individui.
Fonti
[i] quello dell’individuo, del singolo operatore o analista, quello della Organizzazione alla quale egli appartiene o, perché no, anche quello della disciplina stessa
[ii] Dati, informazioni o comunque narrazioni iscritte su supporti fisici aventi caratteristiche di persistenza.
[iii] Si veda il lemma “Euristica” in Nacci, G., Microglossario Interdisciplinare per l’Intelligence delle Fonti Aperte, 2019, Epoké, pag. 101
[iv] “Avvenimento, azione, fenomeno, ciò che si compie o si è compiuto”, http://www.treccani.it/vocabolario/fatto2/
[v] La “notizia” del reato. Per un approfondimento del concetto di “notizia” nelle varie discipline e in OSINT si veda il relativo lemma in Nacci, G., Microglossario Interdisciplinare per l’Intelligence delle Fonti Aperte, Epoké, 2019, p. 151
[vi] Ovvero il vantaggio sui competitori.
[vii] Piuttosto ardito, per la verità, ma lo scopo è meramente esplicativo.
[viii] Una certa analogia con la pratica dello storytelling è stata qui volontariamente evocata ma – date le dimensioni della questione – dovrà necessariamente essere affrontata in altra sede.
[ix] Ovvero di assetti teoretici, finalità, tecniche e metodi.
[x] E pertanto della possibilità di innovazione degli assetti teoretici di ogni disciplina.
[xi] http://www.treccani.it/vocabolario/microlingua/
[xii] http://glossario-osint.eu/wp/
[xiii] pubbliche, governative, sovranazionali ma anche sociali, private, individuali, eccetera
Giovanni Nacci è Ufficiale in congedo della Marina Militare. Dal 1995 esperto in teorie, metodi e sistemi per l’OSINT. Dal 2000 al 2019 si è occupato, nel settore privato, di consulenza e formazione in materia di OSINT per aziende, enti ed organizzazioni. Nel 2017 fonda «Intelli|Sfèra – Idee, valori e contenuti per l’innovazione disciplinare nell’Intelligence delle Fonti Aperte e Originarie» (www.intellisfera.it) progetto dedicato alla realizzazione di attività culturali, scientifiche e di divulgazione finalizzate alla innovazione disciplinare nell’Intelligence delle Fonti Aperte, oltre che alla promozione di OSINT come attività originaria finalizzata all’accrescimento della conoscenza negli individui e nelle Organizzazioni. Ha pubblicato con Edizioni Epoké, Nyberg, «Intelligence&Storia», «AnalisiDifesa». È stato coordinatore dell’Osservatorio Infowarfare dell’Istituto Italiano di Studi Strategici Machiavelli. Docente al Master in Studi di Intelligence e Sicurezza Nazionale (Link Campus University, Roma), è stato relatore al Tirocinio di Intelligence del Corso di Laurea in Scienze dell’Investigazione dell’Università dell’Aquila. Attualmente è funzionario presso un Ente Pubblico territoriale.