“L’importanza di dare un’identità ai cadaveri sconosciuti”
Inondazioni, terremoti, attentati terroristici, incidenti aerei e ferroviari, sciagure navali, affondamento di barconi straripanti di migranti. Questi sono soltanto alcuni dei casi caratterizzati da un elevato numero di vittime, spesso resti umani resi irriconoscibili dai traumi subiti e/o dal cattivo stato di conservazione.
Sono circostanze che oltre a cancellare la vita, spesso portano alla cancellazione dell’identità delle persone coinvolte. A volte questa cancellazione dell’identità è solo temporanea, a volte purtroppo, rimane permanente.
L’identità è ciò che resta quando tutto il resto non c’è più, è tutto ciò che noi siamo e che ogni individuo costruisce con il tempo e con le proprie esperienze. Preservarla è fondamentale, recuperala è necessario.
A livello tecnico, l’identificazione personale è un lavoro estremamente complesso e meticoloso, che richiede un concreto coordinamento tra varie figure professionali come il personale del 118, Vigili del Fuoco, Carabinieri, Polizia e non ultimo, laboratori specializzati.
In questa ottica è nato il LABANOF, un laboratorio di antropologia e odontologia forense composto da un team di medici legali, antropologi, odontologi, biologi, entomologi e altre figure specialistiche. Il LABANOF, è stato infatti fondato nel 1995 presso la Sezione di Medicina legale dell’Università di Milano, con lo scopo di recuperare, studiare ed identificare cadaveri e resti umani attraverso sofisticate tecniche scientifiche.
Ma come avvengono le operazioni di “recupero” dell’identità?
Generalmente vengono costituite due squadre di lavoro così definite: una post mortem e una ante mortem.
La prima squadra si occupa di raccogliere, tramite autopsia, quante più informazioni utili ai fini identificativi (connotati, segni particolari se ancora visibili, caratteristiche morfologiche scheletriche o dentarie, impronte digitali).
La seconda squadra si occupa di prendere contatti con i parenti e conoscenti delle vittime, necessari per fare il confronto identificativo.
In questa fase vengono compilate delle schede, definite Interpol DVI (Disaster Victim Identification, gialle per i dati ante mortem e rosa per i dati post mortem). L’organizzazione di questa procedura è molto complessa ed è resa ancor più difficoltosa dal fatto che in Italia non esiste un protocollo che permetta a tutte le figure necessarie di organizzarsi e coordinarsi per garantire l’immediatezza dell’intervento.
Il primo passo per identificare un cadavere, qualora i resti siano gravemente compromessi, consiste innanzitutto nella diagnosi di specie, per capire se si tratti di materiale umano. Una volta accertata la natura umana dei resti, se possibile viene effettuata la diagnosi di sesso e di età tramite procedure antropologiche e odontologiche. Importante è anche l’accertamento del gruppo etnico di appartenenza e altri connotati quali l’altezza, malattie pregresse, interventi chirurgici e odontoiatrici.
Metodiche odontologiche sono spesso decisive al momento della comparazione tra dati dentali ante e post mortem; molto utile infatti è uno studio basato sulla morfologia dentaria che consiste nel confronto tra i profili dentali e le rughe palatine, immortalate in vita da calchi odotoiatrici.
Sono inoltre utilizzate metodiche dattiloscopiche, applicate su cadaveri ben conservati, dal momento che le impronte digitali hanno un elevato potere individualizzante, in quanto uniche.
Nel caso siano danneggiate da processi di decomposizione o di carbonizzazione, le creste papillari possono essere ripristinate tramite metodologie chimiche ricostruttive.
La fase finale è la ricostruzione facciale in 3D mediante metodiche di nuova generazione. Una di queste è lo studio dello spessore dei tessuti molli su radiografie, allo scopo di ricostruire la morfologia cranica per determinare il profilo.
Quello dei cadaveri sconosciuti è un problema che coinvolge non solo l’Italia ma anche Europa e Stati Uniti perché non ci sono strutture di controllo sui territori e quindi, i dati sono frammentari.
Dal 2007, in Italia i “senza nome” (principalmente clochard e migranti) hanno un ufficio che si occupa di loro, quello del Commissario straordinario del Governo per le persone scomparse, che attualmente è il prefetto Giuliana Perrotta.
L’identificazione di un cadavere sconosciuto è importante non solo in ambito penale perché da un contributo fondamentale alle indagini giudiziarie ma, risulta molto importante anche dal punto di vista sociale e civile dal momento che da questo possono dipendere questioni riguardanti successioni, assicurazioni, ecc.
A tali obblighi si aggiungono anche ragioni morali ed etici che richiedono l’assegnazione di un nome, e quindi di una storia, ai resti umani privi di identità.
Dal 2013 il team del LABANOF, guidato dalla Professoressa Cristina Cattaneo, ha cominciato un’impresa difficilissima: dare un’identità e una dignità alle vittime dei naufragi del Mediterraneo. In particolare dei due naufragi avvenuti a largo di Lampedusa: quello del 3 ottobre 2013 e quello del 18 aprile 2015..
La Professoressa Cattaneo ha recentemente dichiarato che “è fondamentale dare un’identità ai morti per la loro dignità, riconosciuta dalle convenzioni internazionali e, per la salute mentale dei vivi che hanno bisogno di conoscere che fine ha fatto il proprio congiunto”.
Va considerato che questo è importante, oltre che per l’aspetto umano, anche per quello legale, infatti senza certificato di morte gli orfani di queste persone in Europa non possono essere adottati, ovvero un migrante di minore età non può chiedere il ricongiungimento con i parenti e, le mogli non possono avere i diritti di vedova senza il certificato di morte del marito.
Per quanto attiene la tematica dei migranti, è stato lanciato un appello in tutte le lingue, chiedendo se qualcuno avesse o sospettasse di avere dei familiari morti in qualche naufragio e di contattare l’ufficio del Commissario straordinario del Governo per le persone scomparse. Si è cercato di allertare soprattutto i paesi d’Africa sub sahariana: Senegal, Mali, Mauritania, Costa d’Avorio e Sudan.
Finora si sono presentate settanta famiglie prevalentemente senegalesi, eritree, somale, da otto paesi europei tra cui, oltre l’Italia, l’Inghilterra, Norvegia, Spagna, Germania e Svizzera e ad oggi sono state identificate una quarantina di persone su oltre trentamila.
Il numero dei corpi identificati è per ora molto ristretto ma se si considera il lavoro enorme e le tante difficoltà incontrate, è un buon risultato.
È molto difficile risalire all’identità di queste persone proprio perché molto spesso sono senza documenti (magari questi sono andati persi in acqua) e senza elementi che aiutino a capire anche solo il paese di origine. È difficilissimo inoltre contattare i loro familiari per il riconoscimento. Si va a tentativi, si lavora con i dettagli e, utilizzando i pochi elementi che si hanno a disposizione, si cerca di ricostruire una storia che è andata persa quasi del tutto ed è una battaglia contro il tempo. Sono molto spesso giovani che vengono trovati stipati sotto le assi del pavimento delle navi ridotti in scheletri o direttamente sul fondo del mare. Spesso questi corpi vengono trovati ammassati, alcuni in stato di decomposizione avanzato per via dell’acqua, altri mangiati da pesci. È stato necessario imparare a “maneggiarli” per far si che non andassero persi elementi preziosi. Infatti è stato visto che queste persone si cucivano all’interno dei propri vestiti oggetti a cui tenevano molto e che per loro erano dei “lasciapassare”. Sono state trovate pagelle scolastiche (molte delle vittime erano ragazzini adolescenti), foto, tessere delle biblioteche, tessere da donatori di sangue.
I naufragi nel Mediterraneo sono il più grande disastro di massa degli ultimi tempi anche se quasi nessuno lo considera tale, perché molti pensano che esistano morti di “serie A e serie B” e perché tanto “chi vuoi che li ricerchi questi disgraziati morti in mare?”. Invece non è così, i morti sono tutti uguali e tutti hanno una storia e una famiglia, alcune delle quali hanno ricercato e stanno ancora ricercando i propri cari.
L’iniziativa tutta italiana di dare un’identità ai cadaveri dimenticati del mare è un esperimento unico in Europa, un fiore all’occhiello del nostro Paese di cui essere fieri.
Articolo di Harmony Dolciami
Fonti
Foto copertina http://cmedds.com/DisasterTraining.php
Foto barcone migranti https://www.theguardian.com/world/2016/may/29/700-migrants-feared-dead-mediterranean-says-un-refugees
Harmony Dolciami, laureata in Scienze Biotecnologiche Mediche, Veterinarie e Forensi, si occupa di Tossicologia forense presso il Dipartimento di Scienze Chirurgiche e Biomediche, sezione di Medicina legale, scienze forensi e medicina dello sport dell’Università degli Studi di Perugia.