“Il contrasto del fenomeno mafioso al tempo del Fascismo e della Liberazione”

Care lettrici e cari lettori, eccoci ad un nuovo numero della nostra rubrica. Come promesso, proseguiamo nella indagine sul percorso storico delle organizzazioni criminali italiane di tipo mafioso.

Cercheremo oggi di tracciare l’evolversi di queste, del loro contrasto o della loro agevolazione, durante il regime fascista e gli anni immediatamente successivi al termine della Seconda Guerra Mondiale.

È fatto noto che Benito Mussolini non vedesse di buon occhio gli appartenenti alle associazioni criminali, riprova di ciò sono i provvedimenti che prese a seguito di una sua visita in Sicilia nel 1924.

A questo proposito spesso si ricorda il ruolo di Cesare Mori, il “Prefetto di ferro”, inviato dal Duce in Sicilia in qualità di Prefetto di Trapani prima e di Palermo poi, con l’obiettivo di eradicare quella che ancora veniva chiamata “Maffia”. Fermi restando i risultati repressivi ottenuti da Mori, è innegabile tuttavia che, rispondendo appieno ad una modalità di azione tipicamente totalitaria, l’opera di Mori fu tutt’altro che rispettosa della legge. Tortura, ricatto, sequestro di persona e persino accuse di mafia strumentali a colpire avversari politici divennero mezzi ordinari di azione. Ecco dunque che accanto al diminuire del fenomeno mafioso crebbe un sentimento antico e profondo, la sfiducia dei siciliani nei confronti di uno Stato oscillante tra latitanza e presenza violenta e arbitraria.

Si parla di quegli anni come di “prima guerra alla mafia”, e tuttavia sarebbe più corretto parlare di “guerra ai mafiosi”, poiché al nostro paese servirà più di mezzo secolo, ed un numero inestimabile di morti, tra cittadini e uomini dello Stato, affinché si cominci a riconoscere ed a punire penalmente l’appartenenza ad una organizzazione mafiosa.

Abbiamo voluto citare questo episodio per ricordare un principio sempre attuale; il fine non giustifica i mezzi, neppure se a porli in essere sono poteri dello Stato.

Il contrasto al fenomeno mafioso cambiò radicalmente con l’approssimarsi della fine della Seconda Guerra Mondiale ed in particolare con lo sbarco alleato in Sicilia. Seppure la questione sia controversa, sostenendo alcuni che il ruolo degli appartenenti alle famiglie mafiose nulla ebbe a che fare con la liberazione, ciò che è provato senza alcun dubbio è che negli anni successivi alla fine del conflitto molti furono i casi di amministrazioni pubbliche siciliane affidate ad esponenti mafiosi. Riguardo le motivazioni che permisero la salita al potere pubblico di esponenti criminali non va sottaciuta la essenziale funzione di discontinuità dal fascismo che questi soggetti garantivano, non già perché fossero portatori di valori e ideali democratici o ancor meno socialisti, ma piuttosto per quella tendenza sempre attuale delle organizzazioni mafiose a scegliere con lungimiranza e prontezza il potere momentaneamente vincente.

A riprova della natura profondamente non antifascista delle organizzazioni mafiose, ci occuperemo nel prossimo numero della prima strage verificatasi nella neonata Repubblica Italiana, Portella della Ginestra.

Riguardo invece il ruolo ausiliario, di facilitazione, che secondo alcuni Cosa Nostra avrebbe esercitato in favore degli Alleati nelle fasi precedenti e successive lo sbarco in Sicilia, è necessario ricordare che Charles Poletti, ex governatore di New York e successivamente inviato dagli Stati Uniti in Sicilia con la qualifica di capo degli affari civili, scelse come suo collaboratore ed interprete Vito Genovese, un esponente di primo piano delle famiglie mafiose italiane trasferitesi in America, nonché uomo molto vicino a Lucky Luciano.

Il cambio di rotta rispetto alle istanze repressive dello Stato fascista ben si spiega guardando alle utilità che Cosa Nostra era in grado di far conseguire al governo Alleato, ed in particolare riguardo il contrasto a piccola criminalità, banditismo ed alle crescenti rivendicazioni sociali, politiche ed economiche dei cittadini siciliani.

Riguardo il ruolo di Lucky Luciano in merito alla collaborazione tra Stati Uniti e Cosa Nostra, molti autori parlano di una mai provata lista, consegnata da Luciano ai servizi americani, di ottocentocinquanta nomi di appartenenti a famiglie mafiose che avrebbero aiutato gli Alleati una volta entrati in Sicilia. È invece assistito da certezza il fatto che Luciano, condannato nel 1936 a quattro decadi di carcerazione, ricevette la grazia dal Governatore dello stato di New York nel 1946 per i servigi resi alla Marina, a condizione che lasciasse gli Stati Uniti per l’Italia, cosa che in effetti Luciano fece, salvo nello stesso anno riuscire ad ottenere un permesso per l’espatrio concesso da un esponente mafioso nonché amministratore pubblico siciliano.

Giunti al termine di questo secondo numero della rubrica Vi lascio con una domanda; Quali saranno invece i rapporti tra Stato e mafie nei primi decenni successivi alla proclamazione della Repubblica?

Articolo di Dario Meini Caponnetto

Fonti

Foto Prefetto Mori https://www.fattodiritto.it/le-origini-della-mafia-3-puntata-mafia-e-fascismo-il-prefetto-mori/