Il triangolo imperfetto tra Stato, imprese ed Organo di Vigilanza

Intervista al Dott. Matteo Micheli, Presidente del Coordinamento Nazionale Prevenzione e Sicurezza

Dottor Micheli, come vede il ruolo dell’organo di vigilanza all’interno del quadro generale della sicurezza sul lavoro?

La ringrazio Direttore per l’intervista che mi permette ancora una volta di parlare di sicurezza sul lavoro. Come promesso sarò diretto, perché troppo spesso su questa tematica si usano escamotage per non centrare il vero problema.

A quali escamotage si riferisce?

Le risponderò nel dettaglio durante l’intervista, per ora le anticipo che nel 2019 non è più tollerabile sentire gli addetti ai lavori sostenere, dopo un infortunio, che è tutta colpa di un “errore umano” o che serve “cultura della sicurezza”. Queste espressioni sono usate come specchietti per le allodole e in questo modo generano confusione che non fa emergere i veri errori.

Purtroppo, negli ultimi anni sul tema della salute e sicurezza sul lavoro si sta navigando a vista, ed i principali attori non rispettano le regole o peggio ancora non le conoscono.

Gli attori principali del sistema a cui mi riferisco sono: Lo Stato, le imprese e l’organo di Vigilanza.

In teoria questi tre soggetti formano una triangolazione perfetta: Stato – Imprese – Organo di Vigilanza. Ma questo sistema funziona solo se ognuno compie bene il proprio ruolo. Purtroppo, questo sistema non sempre è funzionale perché ognuno di loro compie errori più o meno gravi.

Quali sono questi errori del sistema?

Questa domanda ce la siamo posta nel 2016 come Coordinamento Nazionale Sicurezza e Prevenzione. Abbiamo quindi deciso di indagare partendo dall’operato dell’Organo di Vigilanza Regionale attraverso una rilevazione statistica.

Cosa avete rilevato sull’operato dell’Organo di Vigilanza Regionale?

A tutte le Regioni abbiamo chiesto i dati riguardanti le attività ispettive e le sanzioni rilevate ai sensi della vigente normativa in materia di igiene e sicurezza del lavoro, relative all’anno 2014.

Per essere più chiaro, ad ogni Regione è stato chiesto di fornirci per ogni articolo del testo unico, il numero di volte che è stato applicato il regime sanzionatorio.

Abbiamo constatato che non tutte le Regioni hanno risposto alle nostre domande.

Le uniche ad inviare i dati come richiesto sono state: Sardegna, Emilia-Romagna e Calabria.

Le altre invece ci hanno inoltrato solamente una scheda, denominata “Attività di Vigilanza nei Luoghi di Lavoro”, che riporta solo il numero totale delle prescrizioni emesse dall’Organo di Vigilanza Regionale nel 2014. Pertanto, ci hanno fornito solo un numero complessivo, che non ci permetteva di capire quali fossero gli articoli violati nelle aziende italiane e quindi non ci consentiva nessuna ipotesi di analisi.

A noi sembra una grave carenza non solo perché non hanno risposto ad una nostra legittima richiesta, ma anche perché l’assenza di questi dati non permette alle Regioni di orientare, programmare, pianificare e valutare l’efficacia delle attività di prevenzione della salute e sicurezza nei luoghi di lavoro, messe in atto dalle stesse regioni.

Quindi a questo punto si può capire perché appare beffardo quando, in occasione di un tragico evento, i rappresentanti politici della Regione si strappano le vesti additando alla mancanza di cultura della prevenzione di altri, come ad una causa misteriosa di tutti i mali. Quando invece, loro stessi non monitorano neppure le attività dell’organo di vigilanza in casa propria.

Il nostro Coordinamento Nazionale Prevenzione e Sicurezza, non avendo ricevuto i dati richiesti, ha pensato di fare un confronto tra i dati pubblicati in internet sulle attività di vigilanza del personale ispettivo delle Direzioni territoriali del Ministero del Lavoro, dell’INPS e dell’INAIL. Questi sono organi dell’amministrazione centrale dello Stato che hanno svolto in parallelo agli organi regionali un’attività di vigilanza sul territorio.

Dai dati relativi alla vigilanza del Ministero del Lavoro, dell’anno 2014, è risultato che il 65% delle aziende non sono regolari.

Invece non sono regolari, per gli organi di vigilanza regionali, solo il 19% delle aziende.

Come mai questa differenza? Per lo Stato il 65 % delle aziende non sono in regola, mentre per le Regioni solo il 19 %.

Questa differenza è misteriosa, è quindi una discrepanza che ci impone una riflessione.

A seguito della vostra analisi, quale riflessione possiamo fare?

Il Ministero del lavoro ha riscontrato circa 78.000 lavoratori totalmente a nero. Invece la somma di tutte le violazioni riscontrate dagli organi regionali per il 2014, esclusa la Puglia, è pari a circa 13.000. Non è pensabile che il divario di 65.000 violazioni sia stato colmato dalla Puglia. Quindi i numeri non tornano.

Possiamo ipotizzare che i 78.000 lavoratori in nero non abbiano ricevuto la formazione obbligatoria prevista dal decreto 81. D’altronde come è possibile pensare che il datore di lavoro, che non gli ha fatto un regolare contratto di lavoro, possa avere speso soldi e tempo per adempiere all’obbligo di formazione?

Quindi quale spiegazione vi siete dati?

È semplice, mancherebbero 65.000 contestazioni dell’obbligo di formazione ai lavoratori assunti a nero. E questa è una ipotesi molto ma molto riduttiva perché le 13.000 violazioni riscontrate dall’Organo Regionale non si riferiscono solo all’obbligo di formazione, ma sono il totale delle violazioni accertate su tutto il decreto 81.

Quindi nel 2014, non meno di 65.000 lavoratori hanno lavorato senza essere stati formati sulla sicurezza come prescrive il testo unico.

Perché questa enorme differenza tra le violazioni riscontrate dal Ministero che sono 78.000 rispetto a quelle riscontrate dall’Organo Regionale che sono solo 13.000?

Le ipotesi possono essere molteplici:

  • non è stata fatta la segnalazione agli organi di vigilanza regionali della presenza di lavoratori a nero;

  • oppure, dopo la segnalazione degli enti che hanno accertato tali irregolarità, l’organo di vigilanza non ha effettuato le prescrizioni come previsto dalla normativa;

  • oppure, sono valide entrambi le due ipotesi.

Non è possibile verificare le ipotesi formulate. Resta comunque l’interrogativo di come è possibile che sul territorio nazionale, dove è stata accertata dal Ministero la presenza di un 65% di aziende non in regola, l’Organo Regionale riscontri solamente il 19 % di imprese non in regola.

È molto probabile che persistano all’interno degli Organi di Vigilanza regionali modalità di lavoro degli anni ’70 quando era prevista per il personale ispettivo la possibilità di scegliere con discrezione di sanzionare o meno il datore di lavoro. Questa modalità discrezionale di intervento è terminata nel 1994 con l’entrata in vigore del decreto numero 758. Purtroppo, si deve constatare che ad oggi la modalità discrezionale ancora permane sotto l’aura del cosiddetto “buonsenso” che non può sposarsi con il diritto penale.

Nel 2019, l’idea, da parte dell’organo di vigilanza, di poter ancora interpretare una norma penale rappresenta un buco del sistema che contribuisce alla situazione attuale in tema di “insicurezza” sul lavoro.

L’Organo di Vigilanza nelle funzioni di Polizia Giudiziaria non deve mai interpretare una legge, funzione che spetta ad altri. L’azione giudiziaria di fronte ai reati penali, e quelli sul decreto 81 sono reati penali, è obbligatoria, perché lo stabilisce la Costituzione della Repubblica Italiana. Pertanto l’Organo di Vigilanza non può permettersi di impedire che i reati rilevati non siano perseguiti.

Altrimenti accade ciò che disse Richelieu nel XVII secolo:

Fare una legge e non farla rispettare equivale ad autorizzare la cosa che si vuole proibire.

Allora cosa dovrebbe fare l’organo di vigilanza?

Nel 2011, il Dr. Magnavita, nella rivista Medicina del Lavoro, scrisse: “Gli organi di vigilanza sanzionano la mancanza di firma del medico…ma generalmente non vanno oltre un’occhiata alla prima e all’ultima pagina del Documento”.

L’articolo sulla rivista “Medicina del Lavoro” è una sorta di denuncia sull’operato dell’Organo di Vigilanza, in quanto sostiene che gli Ufficiali di Polizia Giudiziaria non valutano i documenti di valutazione dei rischi, ma non di rado si limitano a controllare solo la presenza delle firme senza intervenire nei contenuti delle valutazioni del rischio.

Poi, se le regioni monitorassero correttamente i dati relativi alle violazioni potrebbero orientare e sostenere, sulla corretta applicazione delle norme, gli operatori del proprio Organo di Vigilanza, togliendo gli stessi dall’imbarazzo della interpretazione della norma penale, che ricordiamo spetta solamente al Giudice del Tribunale.

In sintesi, la triangolazione del sistema, Stato – Organo di Vigilanza – Imprese, diventa imperfetta: lo Stato che legifera in materia di sicurezza sul lavoro con un linguaggio che lascia spazio a diverse interpretazioni. Alcuni imprenditori, in modo particolare della piccola e media impresa, che per colpa o dolo non rispettano le “misure generali di tutela”. L’Organo di Vigilanza che interpretando impropriamente si sostituisce al legislatore generando Ingiustizia ed Insicurezza.

Dottor Micheli, il tema è interessante e merita certamente degli approfondimenti, per i quali già da adesso, chiediamo la sua disponibilità. Indubbiamente, ci sono realtà nelle quali si riesce a tendere alla triangolazione perfetta a cui accennava tra Stato – Imprese – Organo di Vigilanza, ma in altre realtà, per far sì che l’Insicurezza lasci il posto alla Sicurezza, la strada da fare è ancora lunga.

Intervista di Paolo Mugnai


Matteo Micheli è Dottore in Scienze della Sicurezza e delle Investigazioni e Presidente del Coordinamento Nazionale Prevenzione e Sicurezza