“L’espansione territoriale delle organizzazioni mafiose negli anni settanta e ottanta”
Care lettrici e cari lettori, eccoci dunque ad una nuova tappa del nostro percorso storico sul fenomeno criminale organizzato di tipo mafioso.
Procederemo oggi nel tratteggiare l’evoluzione di queste consorterie negli immediati decenni successivi alla liberazione.
Guardando alla crescita delle organizzazioni mafiose negli anni settanta si impone con forza una considerazione circa l’esponenziale diffusione di queste, in territori diversi da quelli di origine. In regioni diffusamente considerate immuni al fenomeno mafioso cominciarono a balzare alle timide cronache giornalistiche, ed alle più incisive valutazioni degli operatori di settore, i numerosi e crescenti arresti di soggetti legati al mondo criminale mafioso. Le ragioni di questa opera progressiva e costante di colonizzazione di zone così lontane dalle loro terre di origine sono da ricercare in diversi ordini di motivazioni.
Innegabile è la grande crescita economica che nell’ area del centro-nord-est della penisola stava rivoluzionando l’economia e la fisionomia dei territori. Erano gli anni del boom economico, di crescita vertiginosa e apparentemente inarrestabile e, in ossequio ad un principio vero oggi come allora; dove vi è abbondanza di denaro, ecco emergere prepotentemente la presenza di interessi criminosi, desiderosi di accaparrarsi una fetta di quel benessere economico. Ecco dunque un fattore che contribuisce a raccontare l’incremento di presenza di queste organizzazioni; il denaro, gli affari. Spesso si tende a non notare a dovere la capacità imprenditoriale delle mafie, pensando che il loro potenziale economico debba la propria crescita costante unicamente ad una sua intrinseca modalità aggressiva, che sia questa violenta o fraudolenta. E’ innegabile che le modalità di azione di questo tipo di organizzazioni permettano loro di imporsi nei più diversi settori della economia in una forzosa assenza di competitori, dei quali viene annullato il loro ruolo di concorrenti. Eppure ciò non è, da solo, sufficiente a spiegare il fatturato annuo miliardario delle mafie, ed a riprova di ciò si pensi ad esempio che all’ indomani della caduta del muro di Berlino furono proprio le organizzazioni mafiose a comprendere per prime la imminente impennata dei prezzi degli edifici e dei terreni che insistevano nell’ area est del muro, ed a muoversi di conseguenza recuperando ingenti capitali proprio per l’ acquisto di quei beni in un’ottica di profitto.
Oltre quanto detto, una ulteriore ragione della espansione delle mafie in zone lontane dai luoghi di origine fu proprio una misura che il nostro ordinamento impiegò per contrastarle e che invece ne permise la capillarizzazione su tutto il territorio nazionale: il soggiorno obbligato. Con questa dicitura si intende un istituto che nel nostro ordinamento conobbe qualificazioni ed impieghi diversi, essendo stato disciplinato per la prima volta nella seconda metà del 1800, dunque riformato nel 1931, periodo in cui dispiegò i propri effetti peggiori, sia a livello quantitativo che qualitativo (si pensi in tal senso all’ utilizzo che il regime fascista fece di questo istituto ai danni di soggetti sgraditi alla Nazione), ed ancora eliminato e reintrodotto nel 1965 per poi essere abbandonato definitivamente tramite referendum nel 1995. Proprio questa ultima fase di operatività del soggiorno obbligato, più evocativamente e atecnicamente chiamato “confino” è quella che ci interessa. Il ragionamento sotteso all’ applicazione di questo istituto verso gli appartenenti ad organizzazioni mafiose era semplice e diretto: allontanare i soggetti socialmente pericolosi dal contesto sociale di appartenenza, volendone cosi annullare la potenzialità criminosa. Una misura certamente volta non a tentare una via di reinserimento del soggetto in un contesto sociale nuovo, si potrebbe dire “pulito”, ma piuttosto tesa a tagliare con violenza i legami criminosi tra gli appartenenti ai sodalizi mafiosi, tentando al contempo di alleggerire le terre di origine dal pesante capitale umano mafioso che su queste gravava. Con il senno di poi il risultato fu assai diverso da quello sperato, poiché l’allontanamento coatto di questi soggetti permise alle consorterie mafiose di accrescere la propria forza criminale attraverso la creazione di legami territoriali su tutta la penisola. Non solo il soggetto destinatario del provvedimento non abbandonò la propria appartenenza criminale per il solo fatto di essere allontanato dalla propria terra di origine, ma anzi permise alle mafie di penetrare in territori fino ad allora vergini.
Proprio l’osservazione di queste degenerazioni del soggiorno obbligato, oltre a rilievi di natura procedurale, portò gli operatori politici e giudiziari a rivalutare, seppur con grave ritardo, la funzionalità di questo istituto ed a promuoverne l’eliminazione, avvenuta dopo quasi tenta anni di applicazione.
Eccoci dunque al termine di questa terza tappa, dalla quale vorrei lasciarvi come di consueto con una piccola anticipazione sull’ argomento della prossima uscita: come reagirà lo Stato italiano alla presenza oramai capillare ed internazionale delle mafie nella penisola?
Articolo di Dario Meini Caponnetto
Fonti
Foto http://www.antimafiaduemila.com/home/opinioni/235-politica/59077-in-italia-le-mafie-sono-ovunque.html