“Fare il punto tra fake news, complotti, scienza, calcoli assurdi, comunicatori incapaci e paranoie“
In questi giorni un eminente virologo, Guido Silvestri della Emory University di Atlanta, ha scritto sulla sua pagina Facebook:
“Certe volte sogno d’essere un pilota d’aereo. Perché se in fase di atterraggio un passeggero più coglione della media entrasse in cabina per dirmi come fare manovra (i) gli stewards lo bloccano e (ii) la polizia lo mette in galera.
Di virologia, invece, ormai ne parla chiunque, senza alcuna remora. Perché sequenziare e analizzare il genoma di un virus è, notoriamente, cosa alla portata di tutti, a partire dalle moltitudini che hanno condiviso il video di Leonardo del 2015.
Ora capisco che stare chiusi dentro casa per settimane sia pesante. Capisco anche che, per una certa tipologia psicologica, non è facile ammettere di non capire quello che sta succedendo e decidere, con umiltà, di fidarsi degli esperti.
Ma soccombere ai peggiori istinti del proprio cervello (o della propria pancia) non è mai una buona idea. Soprattutto quando siamo di fronte ad una situazione seria e pericolosa come COVID-19”.
Il video a cui si riferisce, è quello che è diventato virale in poche ore, un video dove dei giornalisti fanno vedere come in Cina stiano manipolando dei Coronavirus SARS CoV-2 di pipistrelli aggiungendo una proteina del famigerato virus della SARS, il tutto condito con commenti preoccupati.
Naturalmente a un profano (e al giornalista che ha fatto il servizio) la cosa è sembrata impressionante, chissà quale era lo scopo. Ovviamente ogni tipo di ragionamento era offuscato (a ogni livello) dal più sano complottismo.
Nessuno a chiedersi una cosa semplicissima: se fosse una sperimentazione a scopo militare o strategico, forse sarebbe ultrasegreta e non pubblicata su riviste internazionali e accessibile a tutti. Accessibile anche a chi, come un giornalista inesperto, cerca più lo scoop che una semplice informazione scientifica.
È questo quello che ci manca, un semplice senso critico che ci porti, prima di condividere irrefrenabilmente le notizie, inducendo altri inesperti come i nostri politici, non tanto a reagire come persone normali e a chiedere lumi a un esperto ma a slanciarsi immediatamente in dichiarazioni complottiste.
Naturalmente se poi i virologi e gli immunologi più esperti rassicurano con dovizia di particolari come mai quel video è scientificamente irrilevante (nel caso del COVID-19) e non va considerato, gli esperti laureati su Google passano a ipotesi ancora più suggestive che vanno dal “gli scienziati parlano così perché sono al soldo di Big Pharma, o che ne vogliono sapere loro, io la verità l’ho vista da un altro esperto che ha messo un video su Youtube”. Senza poi appurare chi è l’altro famoso esperto che parla su Youtube, quale curriculum ha, dove lavora e se ha un qualche titolo per parlare di una materia così complessa. In fondo è anche questo il problema: a chi credere.
Certo è più ragionevole credere a un ricercatore virologo che dirige un dipartimento alla Emory University che pubblica i suoi lavori su Nature (la più importante rivista scientifica al mondo) e a molti suoi colleghi, che a un altro che si autodefinisce esperto in quanto ha scritto due righe sul giornalino della parrocchia, magari perfino con laurea in biologia o medicina (il che significa poco) e/o ha un blog personale dove pubblica regolarmente i suoi articoli.
Antonio Lanzavecchia, immunologo varesino oggi in forze all’Istituto per la ricerca in biomedicina di Bellinzona, ci spiega in maniera comprensibile quale sia il significato della ricerca riportata in quel video. C’era anche lui nella ricerca del 2015 descritta nel video, poi diventato virale e finito anche sulle scrivanie di alcuni politici. Lanzavecchia partecipava a quella ricerca realizzata da un’equipe internazionale che coinvolgeva ricercatori di nove università in tre paesi diversi.
Diverse versioni della fake news circolano da un paio di mesi: dall’arma batteriologica diffusa ad arte al pipistrello sfuggito per caso. Ma non c’erano pipistrelli nei laboratori cinesi, al massimo una proteina presente in un virus che circola negli animali, spiega Lanzavecchia: “Il lavoro del professor Baric (il coordinatore della ricerca, ndr) si basa su virus chimerici formati inserendo la proteina di un virus isolato dai pipistrelli nel genoma di un virus adattato al topo e, dimostra che questo virus è in grado di infettare cellule umane in vitro. Questi esperimenti suggerivano quindi che virus in circolazione nei pipistrelli in Cina, erano potenzialmente e, sottolineo potenzialmente, in grado di infettare l’uomo”.
Gli scienziati ipotizzano che ci sia stata una specie intermedia tra il pipistrello e l’uomo anche nell’attuale epidemia, ma lo studio del 2015 ipotizzava che i virus potessero trasmettersi anche in modo diretto.
«La recente emergenza dimostra che la previsione era tutto sommato corretta. Tuttavia, è importante considerare che il nuovo virus ha una sequenza differente rispetto ai coronavirus precedenti».
La sequenza a cui si riferisce Lanzavecchia è una sorta di codice fiscale del virus. I coronavirus sono lunghe catene di Rna, una molecola simile al Dna, formate legando quattro elementi detti “basi” come fossero lettere di un testo.
Ogni virus ha la sua sequenza. Quella del virus Sars-Cov-2 ha circa 29 mila basi e, la sequenza la possono controllare tutti sul sito internet GenBank.
Se il virus fosse sfuggito dal laboratorio, la sequenza del virus chimerico e del coronavirus di oggi dovrebbe essere identica, o almeno simile.
“Una pubblicazione di Kristian Andersen su Nature Medicine di qualche giorno fa, evidenzia come la sequenza di Sars-Cov-2 non sia riconducibile ai virus descritti nel 2015». Ci sarebbero oltre seimila “basi” diverse a dividerli. «Quindi, Sars-Cov-2 rappresenta l’emergenza di un nuovo virus, probabilmente originato dai pipistrelli, che si è adattato all’uomo per vie naturali”.
Per questo, gli scienziati allertarono in conclusione del lavoro circa i rischi costituiti da questi coronavirus presenti fra gli animali, i quali periodicamente causano gravi patologie epidemiche, come già avvenuto per Sars, Mers e ora Covid-19.
Attenzione: questo allarme vale ancora, perché questa possibilità potrebbe ciclicamente trasformarsi in realtà, portando all’emersione di nuovi patogeni pericolosi con lo stesso meccanismo. E, come avevo già detto e ribadisce il prof. Lanzavecchia, nulla ha a che fare quello studio, volto a evidenziare un notevole rischio, con il virus attualmente in circolazione, viste le sostanziali differenze di sequenza tra Covid-19 e il virus chimerico del 2015. Infatti, come ribadito anche da Nature Medicine recentemente, Covid-19 porta ben chiari nel suo genoma i segni dell’evoluzione naturale, non le tracce di ingegneria genetica.
Quello che il profano non sa e che forse che non vuol sapere, è che i virus come tutti gli esseri viventi mutano in continuazione per adattarsi all’ambiente dove vivono e per diffondersi meglio. Lo stesso avviene per i virus, i quali mutando in maniera causale (muta il loro DNA o RNA), possono infettare l’uomo, rappresentare un pericolo per la sua salute. Questo era appunto lo scopo dell’esperimento effettuato nel 2015.
Si riconosce benissimo un virus creato in laboratorio e non frutto dell’evoluzione, in quanto si ha inserimento di un pezzo intero di genoma e non piccoli frammenti e/o mutazioni di singole basi di DNA o RNA come avviene in natura.
Questo è successo nel caso della famigerata ricerca, è evidente che era solo un esperimento in laboratorio e che aveva un suo senso scientifico. Poi però dato in mano a degli inesperti è rimasta solamente qualche parola allarmante: virus, cinesi, manipolazione genica, infettare l’uomo. Oltretutto nella ricerca in questione anche tutto il resto della sequenza del virus era anche notevolmente diverso da quella del COVID-19 e, la differenza non si limitava solo al pezzo di Rna inserito.
Insomma, il classico cherry picking giornalistico, amplificato poi dalla situazione, dall’ignoranza scientifica e soprattutto dal modo di fare di tanti che non si affidano a esperti ma pensano subito al complotto.
Questa è un classico esempio di fake news e di come la gente (politici in primis) prima di arrivare a conclusioni, non abbiano un comportamento logico e siano irresponsabilmente attirati da teorie complottistiche. Ovviamente grande merito (o meglio colpa) di tutto questo è dei giornalisti, di come si presenta l’argomento trasformandolo da una ricerca scientifica seria quale è a un esperimento chissà con quale scopo segreto.
Ma in questi tempi di coronavirus, tutti si trasformano in virologi o immunologi, come in periodo di campionati del mondo di calcio tutti diventano commissari tecnici della nazionale. C’è tuttavia una differenza, mentre è relativamente facile intendersene di calcio, sui virus la cosa è un tantino più complicata. In genere gli esperti hanno una laurea, un dottorato e decine di anni di esperienza su questo argomento specifico.
Oltre un mese fa, quando già l’epidemia imperversava in Italia, girava la voce secondo la quale in Germania non avevano casi di coronavirus in quanto semplicemente lo ignoravano, non facevano test.
Ma dico io, quale mente offuscata da overdose di ricerche su Google può arrivare a conclusione simile? L’epidemia è democratica, colpisce tutti, belli e brutti, ricchi e poveri, intelligenti e idioti.
Se non si fossero curati del contagio oggi avrebbero milioni di persone infettate secondo la classica curva di crescita esponenziale. C’era perfino chi diceva che c’erano in Germania uno strano aumento di casi di influenza e che era quello il coronavirus, il coronavirus che agiva sottotraccia ignorato da tutti in particolare dalle autorità (chissà con quale scopo). Come se fosse possibile per un popolo democratico ignorare le migliaia di morti che di sicuro avrebbe provocato nel frattempo.
La verità era semplicemente il contrario, facevano moltissimi tamponi e tenevano sotto controllo l’insorgenza dell’epidemia. La tesi che in Germania ci sarebbero pochi casi perché sarebbero stati pochi i test è impazzata per giorni sui social media, rimbalzata nei talk show e ha alimentato i complottismi più pericolosi. Tutto questo nel momento in cui il continente europeo è colpito dalla peggiore epidemia da anni. In Italia, il partito di governo M5S è riuscito perfino a scrivere, senza premurarsi di citare una fonte qualsiasi, che la Germania avrebbe eseguito “meno di mille” tamponi. Una tesi totalmente campata per aria e puntualmente smentita dai fatti.
Infatti, mentre in Italia si cercava di bloccare l’epidemia, isolando paesi e mettendo limitazioni agli spostamenti in Germania con altra strategia cercavano di intercettare i positivi, ben sapendo (dall’esperienza coreana) che questo era il metodo più efficace. Non ci sono numeri ufficiai su quanti tamponi abbiano effettuato ma fonti ufficiose (Peter Liese, della Cdu, membro della commissione Envi, Ambiente, Salute e Sicurezza Alimentare) affermano che il segreto del basso numero di decessi in Germania è dovuto all’alto numero di tamponi effettuato ovvero circa 70mila al giorno. Per confronto basta notare che in Italia (dove l’epidemia ha ben altre dimensioni) per intenderci, il record giornaliero è stato toccato il 25 marzo con 36mila tamponi. Ecco il problema, con una decisione scellerata, si è voluto limitare i tamponi alle persone con sintomi evidenti. Tutto questo ben sapendo che ci sono una grandissima platea di pazienti asintomatici o paucisintomatici, che non mostrano i tipici sintomi della malattia ma che sono benissimo in grado di trasmettere il virus.
Solo nella regione Veneto, dove le decisioni in merito sono state prese sotto la direttiva del Professor Andrea Crisanti, (direttore dipartimento di medicina molecolare Professore di epidemiologia e virologia dell’Azienda Ospedaliera dell’Università di Padova), si è deciso di effettuare i tamponi a tappeto in modo da intercettare immediatamente i positivi al coronavirus. I frutti di questa strategia sono già ben visibili infatti il numero dei decessi (decessi/numero di abitanti) è nettamente inferiore rispetto a tutte le altre regioni del nord e anche rispetto alle Marche. Resta veramente incomprensibile la strategia autolesionistica di non effettuare i tamponi, procedura peraltro non costosa (circa 50€ l’uno) e che può essere effettuata anche da personale non particolarmente specializzato.
Per quanto riguarda i farmaci siamo partiti dalle classiche vitamine che funzionano nella prevenzione e cura, in primis Vitamina C e D, a fantomatici farmaci di cui i governi sapevano ma hanno tenuto nascosto l’efficacia per far piacere (tanto per cambiare) a Big Pharma.
Solo un paio di cose vorrei far notare: i) la maggior parte dei farmaci di cui si parla non sono coperti da brevetto (non solo la vitamina C) per cui non esistono interessi particolari a tenere nascosto un farmaco o a spingerne un altro, ii) la sperimentazione sui farmaci va fatta in maniera corretta, altrimenti i risultati sono fuorvianti e si avvelenano i pozzi.
Provare l’efficacia di un farmaco non è facile, al momento non ci sono farmaci disegnati ad hoc per il coronavirus, semplicemente perché fino a ora non esisteva il coronavirus! Quindi si tenta di utilizzare quelli che già ci sono e si sono dimostrati efficaci per virus simili. Però non è facile, è come voler svitare una vite con un coltello perché non abbiamo un cacciavite a disposizione. Può darsi che ci si riesca ma è probabile che si rompa la vite e si rovini il coltello. Quindi per vedere se funziona un farmaco bisogna fare una sperimentazione ben fatta.
Sparare sui giornali i risultati di 3 o 4 casi dicendo “li ho trattati e stanno meglio” non significa niente, è antiscientifico e fuorviante. E’ solo per farsi un po’ di pubblicità e può portare sulla strada sbagliata. È noto infatti che (per fortuna) molti pazienti guariscono anche senza trattamenti farmacologici. Purtroppo, l’AIFA spesso spinta dall’opinione pubblica si fa condizionare. L’esempio è la sperimentazione avviata sul farmaco giapponese Avigan, il tutto dopo un video virale fatto da un farmacista romano che spiega come in Giappone stiano tutti bene in quanto usano quel farmaco. Video naturalmente che in meno di 24 ore è diventato virale. L’Avigan è stato approvato nel 2014 in Giappone come antinfluenzale, ma ha tali effetti collaterali che non viene più somministrato, se non eccezionalmente. Finora lo avevano provato solo i cinesi. Non è autorizzato ne’ in Europa ne’ negli Usa. Paradossalmente neanche i Giapponesi lo usano su Covid-19.
Il virologo Burioni ha definito la cosa una scemenza, rincarando la dose e accusando l’AIFA di aver iniziato una sperimentazione non sulla base di dati scientifici ma sulla base di un filmato su Youtube. Nessuno poi all’AIFA o dei complottisti da tastiera, si è premurato di leggere i dati sulla letalità del Covid-19 in Giappone. Nel paese del sol levante infatti risulta una letalità di circa il 3%, in linea se non superiore a quello di molti altri paesi mentre la velocità di crescita della curva dei contagi è molto più lenta. Questo deriva non tanto dal farmaco ma dal fatto che i giapponesi usano le mascherine e sono molto attenti da sempre a non trasmettere le proprie malattie. Questo per cultura e non solamente adesso in quanto c’è il Covid-19
Per non parlare poi sulle sparate sui vaccini, non passa giorno che non ci sia sui giornali qualcuno che dice “vaccino in sperimentazione”. Poi però nei titoli di coda viene sempre detto, non ci sarà vaccino prima di 12-18 mesi. La voglia di notorietà non risparmia nessuno, ricercatori compresi e in questo momento parlare (anche a vanvera) di coronavirus si diventa una star o meglio una meteora.
I calcoli infine, quei numeri che ci propina la protezione civile ogni pomeriggio alle diciotto. Di tutti questi numeri molti non hanno senso: il numero dei contagiati rilevati è solo dipendente dal numero di tamponi che si fanno, più se ne fanno e più si trovano. Irrilevante è anche il numero dei guariti, in particolare mostrare soddisfazione nell’aumento del numero dei guariti. Ora non ci vuole una grande preparazione per pensare che se oggi ci sono 100mila mila malati, mentre due settimane fa ce ne erano solo 15mila, non è difficile concludere che i guariti aumentino! Di sicuro confrontando i numeri nel resto del mondo possiamo osservare che i contagiati in Italia siano sottostimati di un valore approssimativamente di 1 a 10. Questo si evince in primis dai dati della nave Diamond Princess dove sicuramente i tamponi sono stati fatti a tutti e sono stati rilevati tutti i malati. Nella Diamond la letalità è di circa 1.2% mentre in Italia è l’11%.
Dal momento che non è pensabile che per qualche oscuro motivo da noi il virus sia molto più virulento, l’unica spiegazione (come peraltro ammesso anche da alcuni virologi) è dovuta al fatto che si fanno tamponi solo a una piccola parte dei positivi, perdendosi quindi tutti gli asintomatici e quelli con minimi sintomi. Infatti, se si fanno i tamponi solamente a chi arriva in ospedale in condizioni critiche è chiaro che questo distorce la statistica della letalità che non è altro data dal numero di decessi diviso il numero di casi rilevati.
Articolo di Ranieri Rossi
Ranieri Rossi, socio fondatore dell’Associazione O.I. Obiettivo Investigazione.
Professore di Farmacologia e Tossicologia presso l’Università degli studi di Siena.